lunedì 16 giugno 2014

L’UOMO A QUATTRO RUOTE E IL CONSUMISMO ODIERNO


Dopo il 1909 il mondo non è più stato come prima e non sarà mai più come prima. Infatti, con la pubblicazione del Manifesto del Futurismo (20 febbraio 1909, appunto) di Filippo Tommaso Marinetti, la razza umana entra nell’Era della Macchina e, in particolare, in quella dell’Automobile. Sì, quell’automobile che non solo è entrata a far parte della nostra quotidianità (non si può più vivere senza l’automobile!) ma addirittura della nostra antropologia. Questo, perché, come scrisse Marinetti nel celebre Manifesto: “un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. Perciò, altro che andare in “crisi” se una amministrazione comunale vieta per un giorno la circolazione delle automobili. Si va in crisi eccome, perché noi, ormai, siamo uomini-auto e senza automobili tutta la nostra società andrebbe in tilt, perché tutto ormai si basa sul trasporto e sulle lunghe distanze. Certo, l’auto crea traffico, inquinamento e incidenti, ma ci permette anche di spostarci per lavorare, di trasportare d’urgenza persone che si sentono male, di avere comodità impareggiabili (come recarsi agli appuntamenti galanti e godere dei diletti erotici in luoghi appartati, raggiungibili solo con l’auto), di non soggiacere agli orari rigidi e al mal funzionamento dei mezzi pubblici. Altro che criticare la società dell’automobile perché produce il traffico! Per noi neofuturisti (e io, sotto molti aspetti, ritengo proprio di esserlo!) l’automobile è diventata una parte complementare del nostro corpo. Ormai, l’uomo moderno viaggia sulle quattro ruote e non più sulle due gambe! Chi rifiuta l’uso dell’auto (liberissimo di farlo), si taglia però fuori dalla storia, dalla società odierna, e va incontro ad una vita di rinunce, disagi ed emarginazioni. Chi lo vuole fare, contento lui, ma non condanni in toto il mondo degli uomini-automobile, che è quello presente, immodificabile e insostituibile. E poi, perché predicare una vita di rinunce? L’uomo deve godere “dannunzianamente”, deve spendere e spandere, e ben vengano i grandi ipermercati pieni di ogni bendidio e la possibilità (per chi ha i soldi) di comprarsi tutto quello che vuole passando intere giornate nei centri commerciali. Come dicevano giustamente D’Annunzio e Marinetti (entrambi esteti, entrambi amanti del superfluo, entrambi prodighi): “È il superfluo che rende piacevole e godibile la vita”. E in quest’epoca globalizzata (certo anti-umanistica, certo troppo tecnologizzata), per chi ha le possibilità economiche, il superfluo dona infinite occasioni di soddisfacimento (pensiamo solo a quanti libri, film in dvd e cd musicali è possibile oggi acquistare, per godersi la letteratura, il cinema e la musica, rispetto a 50 o 100 anni fa!). Quindi, nessuna rinuncia edonistica, nessuna limitazione dell’automobilismo antropologico, ma piuttosto invito a “prendere coscienza” dei propri piaceri. Una “rivolta contro il mondo moderno”, secondo me, non deve essere fatta in chiave “limitativa” (contro gli ipermercati, contro le automobili, contro i telefonini, i computer portatili, i dvd o tutte le altre cose belle che la tecnologia odierna ci offre) ma piuttosto in chiave di “presa di coscienza”, ovvero godere del consumismo non diventandone schiavi, essendo coscienti di quello che si spende e facendo dell’edonismo una regola di vita che, però, non ci privi della nostra libertà (per esempio, spendere 50 Euro per giocare al Casinò va bene, ma l’importante è non giocarsi tutto lo stipendio o tutti i risparmi che si hanno banca: il piacere esige anche un limite, una moderazione). Se si deve scegliere, non bisogna fare scelte di “rinuncia anche a costo di star male”, bensì delle scelte coscienti in base alle proprie possibilità economiche: chi ha più soldi spende di più, chi ne ha meno spende di meno. L’importante, però, è spendere e spandere, non essere né spilorci né tirchi, acquistare, comperare, consumare, fare girare l’economia, far circolare i soldi: il risparmio assillante ed ossessivo, dominato dalla ridicolo paura del domani, è antiquato e non fa più parte di questa Era delle macchine e dei consumi. Perciò i tirchi pauperisti odierni, gli spilorci che hanno paura di spendere e che vorrebbero far chiudere tutti i centri commerciali e i grandi ipermercati in quanto disgustati per il fatto che le famiglie “passano la domenica là dentro”, la smettano una buona volta di rimpiangere società agresti e patriarcali, vecchi mondi di contadini e artigiani, dove si mangiava solo pane e latte e dove il consumo dei beni di diletto non solo non esisteva ma non era neppure lontanamente immaginabile… La vita è una sola e bisogna godersela: le “rinunce”, degne di gretti misoneisti, ottusi anacoreti e deliranti sanfranceschi, non fanno per l’Uomo-automobile ed edonista che è nato nell’era della “eterna velocità onnipresente”, come diceva Marinetti, noto come “caffeina d’Europa”. E da buon capo del Futurismo, qual era, ritengo proprio che avesse ragione!

Pane, amore e fantasia


Si discute sui continui sbarchi di clandestini in Italia e si criticano sia i costi dell'operazione “mare nostrum” che la sua efficacia. In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dal Premier Letta, aveva deciso di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia autorizzando l'operazione «Mare nostrum», una missione militare ed umanitaria la cui finalità era ed è quella di prestare soccorso ai clandestini prima che possano ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo. L'Europa assiste immobile e sorda ai continui sbarchi e liquida il problema come se fosse tutto italico e non di rilevanza per tutti gli Stati dell'Unione. Insomma, pretende che noi si disinneschi o si faccia brillare questa mina vagante e, ovviamente, lo si faccia senza troppo clamore e soprattutto con mezzi propri. Tutte le pieghe di questa operazione ci permette di riflettere sul concetto di razzismo e su quello dell'immigrazione. Il Dalai Lama, recentemente, ha affermato che “se si chiamano rifugiati vuol dire che fuggono da qualcosa ma il buon cuore per accoglierli non basta e bisogna avere il coraggio di dire quando sono troppi e di intervenire nei loro Paesi per costruire lì una società migliore”. E' così impossibile o improponibile? Analizziamo la costa africana dalla quale partono gommoni o traghetti della speranza. I Paesi dai quali salpano questi barconi sono sostanzialmente 2: la Tunisia e la Libia. Nella striscia costiera questi Stati vantano coltivazioni di olive, arance e datteri e la loro porzione di mare è ancora ricca di pesce. Non costerebbe meno cercare di fare accordi commerciali coinvolgendo le nostre imprese per garantirsi un settore produttivo satellite (come fece il Giappone con Hong-Kong, Singapore, Taiwan) e un possibile mercato futuro? Perché preferiamo sempre usare l'esercito e vivere nella costante emergenza anziché usare veramente la diplomazia ed il mercato in chiave positiva e di unione tra i popoli? Anche perché italiano, a mio parere, è chi ama questa terra e lavora, costruisce, guadagna e risparmia entro i patrii confini. Indipendentemente da quale sia la sua origine etnico-geografica. Lo scandalo del MOSE ci aiuta a capire. Una persona che porta i propri soldi (lecitamente o illecitamente) nei Paradisi fiscali mi viene difficile pensare che sia un “italiano vero”. Stessa cosa è pensabile per chi lavora in Italia allo scopo di ritornare al proprio Paese d'origine con i soldi guadagnati. In questo caso, il progetto di crescita di lavoro e ricchezza delle coste libiche e tunisine potrebbe essere più interessante che non quello individuale che sta cercando di realizzare in terre che non intende riconosce come sue. Il problema degli sbarchi sulle nostre coste si può risolvere con un po' di pane, amore e fantasia. Qualcuno ci ascolterà?