lunedì 17 marzo 2014

Presi per il paniere

Tutti sappiamo, a grandi linee, che cos'è l'inflazione. L'inflazione, in economi,a è l'aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta. Come potete notare immediatamente dalla definizione, manca un dato fondamentale per capire qual è la reale capacità di spesa della moneta: le tasse. Oltre a ciò ci sono altri due fondamentali criteri che vengono a mancare per scattare una fotografia esatta del potere d'acquisto. Il primo è l'equità nella media aritmetica. Se nel paniere vi sono (per ipotesi) 100 oggetti di uso comune e la variazione di costo è dell'1%, l'inflazione calcolata sarà appunto quella. Poco importa se la media è stata ottenuta dall'aumento del 100% del prezzo di un oggetto e la diminuzione del 99 di un altro. La percentuale dovrebbe tenere conto del differenziale tra i vari beni. Altro criterio dimenticato è il peso del bisogno negli acquisti. All'interno del paniere, gli oggetti hanno tutti uguale peso e valore. Non esiste cioè una netta distinzione tra beni di consumo indispensabili e secondari. Non esiste, dunque, il calcolo dell'inflazione per i beni primari, secondari, ecc. Esiste un solo dato ufficiale che per brevità viene dato in pasto ai media. Per anni, l'unica difesa dall'inflazione che i salari hanno avuto è stata la cosiddetta “scala mobile”. Ufficialmente "indennità di contingenza", essa è stata uno strumento economico di politica dei salari, volto ad indicizzare automaticamente i salari all'inflazione e all'aumento del costo della vita secondo un indice dei prezzi al consumo. E' durata 9-17 anni. Negoziata nel 1975 dal segretario della CGIL Luciano Lama assieme agli altri sindacati e a Confindustria, è stata abrogata tra il 1984 e il 1992 dai governi di Bettino Craxi e Giuliano Amato, con l'accordo degli stessi sindacati. È stata sostituita dall’elemento distinto della retribuzione. Oggi, si parla di denaro che dovrebbe confluire nello stipendio degli italiani per rilanciare i consumi. Nessuno ha, però, ancora spiegato come intende salvaguardare questi soldi (ammesso che arrivino) dall'inflazione o dalle tasse. L'inevitabile conclusione è che si corra il rischio di esser presi tutti per il paniere...

domenica 16 marzo 2014

Libermé, Egalimé, Fraternimé

Libermé. L’AD FIAT Marchionne informa il Ministro dello sviluppo economico che le case automobilistiche che vanno a produrre in Brasile possono accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali. Per lo stabilimento a Pernambuco, in costruzione, la Fiat riceverà finanziamenti sino all'85% su un investimento complessivo di 2,3 miliardi di euro. A questi si aggiungeranno benefici di natura fiscale, quando sarà avviata la produzione di automobili, per un periodo minimo di 5 anni. Il manager afferma il proprio diritto di scegliere liberamente lo Stato in cui impiantare le proprie industrie. Basta che paghino. Il concetto di libertà industriale dell’italiano di Detroit prevede la costruzione di stabilimenti FIAT in quegli Stati che offriranno di più indipendentemente dal progetto automobilistico da sviluppare. La Libertà, caro Marchionne, è la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, usando la volontà di ideare e mettere in atto un'azione, ricorrendo ad una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a metterla in atto. Lei confonde i fini con gli strumenti, la forchetta con la pietanza. Lei non desidera la Libertà perché è pronto a venderla al miglior offerente. Egalimé. La banca è un'impresa privata che distribuisce beni e servizi e fornisce alla clientela mezzi di pagamento e di intermediazione finanziaria tra offerta e domanda di capitali (risparmi e prestiti) per far fronte ai propri investimenti. Viene quotata in borsa come qualsiasi altra impresa ma gode di privilegi unici che nessun altro ha. Mentre una qualsiasi azienda fa del just-in-time per produrre di più e meglio, una banca adottando lo stesso criterio andrebbe in crisi e fallirebbe. Non solo. A confermare la “diversità” dell’impresa bancaria ci sono le garanzie richieste per l’erogazione di un prestito. Se le aziende dovessero vendere i propri prodotti solo a chi paga in anticipo o che da garanzie di solvibilità dalla grande distribuzione (ad esempio) sparirebbero quasi tutte le merci visto che tali acquisti vengono fatti con emissione di fattura (e relativo pagamento) a 120 giorni. Le banche sono aziende del tutto diverse dalle altre ma vengono furbescamente equiparate alle stesse creando una evidente disparità economica e legislativa. Fraternimé. Il mercato, si sa, non è un Ente di beneficenza. Ciò che sta accadendo in Europa oggi, però, è drammaticamente singolare. Siamo informati con straordinaria dovizia che la Germania e la sua Banca Centrale si stanno accollando il destino dell’Europa. Dall’Unione monetaria, i tedeschi hanno ricevuto molti vantaggi e grande benessere. Ciononostante, senza un briciolo di umiltà e gratitudine, la Corte Costituzionale a Karlsruhe ha detto sì alla Merkel, al piano salva Stati, allo scudo fiscale ma l’aiuto non potrà superare i 190 miliardi di euro già stanziati, che corrispondono al 27 per cento del totale che è a carico della Germania (noi paghiamo per il 20 %, circa). Con questa decisione, i tedeschi ci hanno fatto sapere che intendono mantenere il proprio livello di egemonia politica ed economica in Europa pagando… poco. Si tratta di uno spirito di fratellanza molto egocentrico che cura i propri interessi di bottega e che deve necessariamente squalificare politicamente la Germania e le sue ambizioni transnazionali.

lunedì 10 marzo 2014

COST TO COST

No. Il titolo non contiene errori. Nell'anonimato più colpevole e assoluto, nel silenzio raccapricciante dei media collusi con questa politica sfascista, è scattato un nuovo aumento dell'accisa sulla benzina. Un operaio che nel 1980 guadagnava circa 30000 al giorno (15,56 euro) poteva comprare circa 40,8 litri di benzina. Nel 2008, con un guadagno di 30 euro (circa 57.820 lire) al giorno poteva comprare solo 25 litri di benzina, con una perdita netta di 15,8 litri di benzina ( 36,76%). Nel 2014, ipotizzando che l'operaio arrivi a guadagnare almeno 45 euro al dì ne potrà acquistare solamente più 23. In buona sostanza, si può affermare che in 34 anni il costo della vita ha eroso gli stipendi delle fasce più deboli in maniera sensibile costringendole a perdere standard di benessere. Negli ultimi cinque anni le accise sui carburanti sono state aumentate ben 10 volte, mentre l'Iva è stata incrementata per due. Aumentare i salari o diminuire la pressione fiscale sugli stipendi non è una risposta alla crisi che da sola può andare nella direzione di raggiungere un maggior livello di benessere e questo i nostri governanti lo sanno. L'inflazione che ne scaturirebbe (adesso siamo in una situazione deflazionistica) si mangerebbe in un sol boccone tutti i nuovi ricavi. Ricordiamoci che è il costo della vita il vero indicatore di benessere. Il calcolo che dobbiamo tener sempre presente non è quanti soldi guadagniamo ma cosa possiamo acquistare con quel denaro. Si è tanto parlato dell'aumento dell'IVA e di quanto potesse incidere sulle tasche degli italiani ma si continua a minimizzare sugli effetti dell'aumento delle accise sugli idrocarburi. In un Paese che, colpevolmente, sposta qualunque tipo di merce attraverso il trasporto su gomma l'aumento del prezzo della benzina è una mannaia che pesa su tutte le merci vendute o scambiate nel suo territorio, sul lavoro e sui servizi e li penalizzerà tutti. Indiscriminatamente. La mia proposta (nazionale) è di prestare la massima attenzione a questo fatto, prevedere una riduzione delle accise (anziché un incremento) e ovviamente un parallelo piano (serio) a medio e lungo termine per il ridimensionamento della dipendenza da idrocarburi di TUTTA la nostra industria e della nostra società.