martedì 7 luglio 2009
CRA CRA – KAKATOA
Era un bel corvo nero, tutto nero lucido salvo il becco e le zampe colorate di un bel giallo scuro; gli amici uccelli lo chiamavano Cra-Cra, per via di quel suo verso inconfondibile, con il quale accompagnava le lunghe planate tra i rami dei pini, sino a sfiorare le terrazze delle case vicine.
Cra Cra conduceva un’esistenza libera, angustiata solo dalla difficoltà di procacciarsi il cibo quotidiano: buona parte del giorno la trascorreva nella ricerca e nella caccia di bruchi, moscerini ed altri insetti, attività fisiche che lo stancavano alquanto, poiché sentiva di essere uno spirito contemplativo piuttosto che pratico.
Aveva un gran desiderio di comunicare: con gli altri uccelli, con gli alberi e i fiori, con qualunque creatura incontrasse ma si bloccava inesorabilmente davanti a quel suo monotono cra-cra. Un giorno scoprì una finestra, e dietro quella finestra una ragazza. “Ah! potessi instaurare un dialogo!”
Ma non potè far altro che …. cra-cra….. crrraaa-crrraaa ..…
La ragazza udì quel suono, che più che un suono le parse uno sgradevole rumore, si voltò verso la finestra e attraverso i vetri lo vide. Più che vederlo, scorse una piccola massa nera, che agitava appena le ali ripetendo : crrraaa - crrraaa . Ed immediata fu la sua reazione: “ Brutto mostriciattolo così nero e sgradevolmente gracchiante, tu mi porti jella ! “. E per scacciarlo gli lanciò una pantofola. Che infranse il vetro.
Cra Cra riuscì appena a sottrarsi a quella cascata di schegge e volò a nascondersi tra il fogliame del suo albero preferito; non aveva rifugio in un suo nido; in verità non aveva un nido perché non aveva una compagna di voli; anzi, in verità, non aveva mai sentito il desiderio di averne una e quindi non ne soffriva la mancanza .
Con un sommesso cra-cra ripensò alla ragazza dietro la finestra: certo sarebbe stata una bella e buona compagnia ……
Spiccò il volo, compì un largo giro, andò leggero leggero a posarsi su quel davanzale; entrò circospetto, attraverso il vetro rotto, dentro la stanza e non vide nessuno, era vuota.
Venne subito attratto e rimase affascinato, dalle mille cose che là dentro rilucevano: specchi, mattonelle colorate, bianche ceramiche, pizzi e trine, barattoli, tubetti, bottigliette e vasetti d’ogni tinta .
Che regno! Il regno del colore ! e lui invece ….così nero, così nero !
Ed ecco la grande idea, che lo avrebbe certamente trasformato in un qualcuno di gradevole, di desiderabile: con il forte becco e gli adunchi artigli cominciò ad aprire tutti quei “cosi” colorati, e si passò sulle penne, alternativamente ad una a una, quei colori: il biondo ed il fulvo per capelli, il blu dell’ombretto, il rosa della cipria, il carminio e l’arancione dei rossetti; poi si lisciò le penne e si rimirò nello specchio.
Si vide e si ammirò, emise un interminabile “ooohhh” di meraviglia e di soddisfazione, e scoprì di essere diventato un “kakatoa”, uno di quei bellissimi variopinti pappagalli che rallegrano le foreste amazzoniche .
In quella entrò nella stanza la ragazza, che forse voleva truccarsi, ed anch’ella fece un “ooohhh” di ammirato stupore . “Un pappagallo! Un pappagallo in casa mia!!” e iridato di tutti quei bei colori, dal giallo al violetto, con qualche scorcio di nero e senza lo sgradevole gracchiare che emetteva quel corvaccio nero cacciato via poco fa. Allungò lentamente la mano verso quell’esotico uccello, che andò a posarvisi delicatamente, ad accovacciarsi poi nell’incavo tra la spalla e il collo, come forse aveva visto talvolta in televisione, da fuori la finestra, fare ai pappagalli dei pirati; si sentiva completamente a proprio agio, come fosse a casa sua, tra i tappeti multicolori e le spalliere delle sedie.
Ora non gli mancava che cantare, che parlare, comunicare con la sua neo - padroncina, ma certo non con quel suo brutto cra-cra; ci pensò proprio la padroncina, a poco a poco, a insegnargli qualche parola, qualche suono :
e per prima cosa gli dette un nome e gli insegnò a pronunciarlo: Kakatoa ! Ormai Cra-Cra, diventato Kakatoa, non aveva più la preoccupazione di procacciarsi di che mangiare, era sempre riccamente provvisto di semini attraenti e di mangimi succulenti che la ragazza traeva da pacchetti e scatoline, anch’essi colorati .
Tutto bello, tutto perfetto, tutto gradevole, salvo che per
la catenina che lo teneva legato al trespolo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento