lunedì 22 febbraio 2010

Down, Facebook e la tolleranza zero.


Down, Facebook e la tolleranza zero.
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Ma davvero ci si stupisce che nasca su Facebook un gruppo chiamato «Giochiamo al bersaglio con i bambini down», che contava attorno alle 19 di domenica oltre 1300 iscritti? Beh, allora siamo degli ipocriti o abbiamo il prosciutto sugli occhi. Basta guardare cosa succede in alcune classi di alcune scuole (non generalizzo, sia chiaro). Insegnanti che non riescono ad insegnare, studenti con i piedi sul banco, mp3 nelle orecchie e Dio solo sa cos'altro. Bisogna aggiungere anche ciò che avviene per le strade: automobilisti indisciplinati e tutto ciò che questo comportamento provoca. E poi, come se non bastasse, al minimo rimprovero, sul banco degli imputati si mettono i maestri o i professori. I genitori non accettano che il loro "figliolo" subisca un "torto così grave" da una persona non della famiglia. La mancanza di rispetto per gli altri permea la nostra società e non ci si può nascondere dietro a dei numeri. Quelle 1300 persone iscritte al gruppo di Facebook possono rivelarsi ragazzi apparentemente innocui e di buona famiglia. Saremo disposti a correggere adeguatamente questa "sciocchezza" compiuta su Facebook adottando una tolleranza zero? E se questi ragazzi ci rimproverassero che in fondo noi stessi non siamo immuni da colpe perché abbiamo commesso sciocchezze, ai loro occhi, assai simili? Beh, torno a ripetermi. Il degrado che ha portato alla formazione di quel gruppo di Facebook ha radici lontane ed è figlio della nostra precisa volontà di: non accettare responsabilità; non accettare alcun tipo di autorità. Per realizzare la tolleranza zero non bisogna chiamarsi Rudolph Giuliani. Occorre solo coerenza. Ne avremo abbastanza? Coraggio. Proviamoci.

Circoscriviamo Pinerolo


Circoscriviamo Pinerolo
Immagine tratta da http://www.traunstein.de/index/verwalt/partner/Pinerolo.JPG
Pinerolo è una cittadina della cintura torinese che conta, all’incirca, 38 mila anime. Il doppio di Saluzzo che si trova in provincia di Cuneo. La differenza è che i saluzzesi si godono la loro città. I pinerolesi no. La sera, terminato il lavoro, la gente esce per andare a Torino o a Saluzzo. Questa abitudine, ho avuto più volte modo di dirlo è dettata dal fatto che i cittadini non sentono alcun legame con la città perché non è loro. A governare Pinerolo sono quelle quattro o cinque famiglie che determinano l’andamento degli affari, della politica, dello stile di vita. Non a caso, la cittadina del torinese vive un momento di profonda depressione economica. Le grandi aziende se ne sono andate o lo stanno facendo. La città langue. Una grossa mano a scendere nel baratro della crisi di identità la danno le politiche amministrative sempre più attente al centro della città (la piazza del Municipio, s’intende) e meno alle zone limitrofe. Sette chilometri quadrati, 38 mila abitanti, commercio, artigianato, tutto viene messo in mostra in quella modesta porzione di terra che è Piazza Vittorio Emanale. Persino la tappa del Giro d’Italia deve concludersi nella zona dei Portici nuovi. Qualunque manifestazione venga organizzata non esce da questo circolo vizioso. Eppure, a Torino, con le circoscrizioni, si sono ravvivati interi quartieri ed è aumentata l’affezione e l’orgoglio della gente per la città. Perché non si può fare altrettanto a Pinerolo? La domanda va posta a chi ha voce in capitolo.

mercoledì 3 febbraio 2010

Sper…però…


(Immagine tratta da
http://www.nonsprecare.it/public/img/articoli/352.jpg)
Pagare le tasse è legittimo. Chiudere i conti dello Stato in positivo è altrettanto auspicabile. Ciò che proprio non mi va giù e ad esso non mi abituerò mai è che esistano cittadini di serie A e tutti gli altri siano da considerarsi di serie B. Mi riferisco al comportamento che lo Stato adotta nei confronti dei suoi dirigenti di nomina politica. Esistono figure professionali a livello provinciale, regionale, nazionale, che hanno uno stipendio di migliaia di Euro al mese per svolgere mansioni dirigenziali ma che agiscono con un mandato temporale. In altre parole hanno bisogno di un rinnovo per continuare a rimanere in carica. Capita che, cambiando la fisionomia politica dell’Ente pubblico che ha fornito l’incarico, questi dirigenti vengano messi da parte e sostituiti con altri. Ebbene, proprio qui sta l’inghippo. Lo Stato liquida gli ormai ex-funzionari con una liquidazione cospicua perché “essi dovranno reintegrarsi nel mondo lavorativo”. Posto che chiunque abbia uno stipendio di importo superiore al 500% del cosiddetto livello di povertà non può avere problemi a trovare un impiego. Deve solo gestire saggiamente le sue finanze. Il problema è che nel privato accade che i dipendenti che vengono licenziati a malapena ricevano la liquidazione. Figuriamoci quale speranza hanno di trovare un nuovo posto di lavoro. Sono cittadini di serie B. Lo Stato sostiene di non poter intervenire in favore dei tanti neodisoccupati perché gli mancano i fondi per farlo. La colpa, si dice, è dell’evasione fiscale. Vero. Probabilmente, questo serio problema impedisce ai governi di attuare una importante politica di equilibrio e armonizzazione del reddito. Credo, tuttavia, che un cospicuo aiuto possa venire da una generale calmierazione degli stipendi dei dirigenti (pubblici e privati). Un esempio in tal senso è arrivato dal Presidente degli Stati Uniti Obama che dopo aver aiutato le aziende del suo Paese a risollevarsi dalla crisi ha criticato le stesse, colpevoli di aver deciso di ripartire dividendi e bonus ad azionisti e dirigenti. Il succo della crisi sta proprio qua. Finchè non si armonizza il capitale non si potrà uscire dal tunnel nel quale siamo entrati. Non ho sentito alcun politico (di destra, centro o sinistra) definire immorali i privilegi e gli sperperi del suo settore con lo stesso coraggio che ha avuto Obama. Nel nostro Paese gli amministratori contano ancora più dei proprietari e i piccoli interessi di bottega più del senso civico nazionale. Pagare le tasse è legittimo. Sarebbe anche giusto usare con sobrietà il denaro ricavato, almeno per rispetto di chi è meno fortunato.

SELF-MADE-NON


(Immagine tratta da http://www.fundingfreedom.com/images/bobbiecarlyle2.jpg)
Un tempo gli Stati Uniti erano il faro economico del mondo occidentale. Qualunque cosa importante nasceva in America prima che in qualunque altro Paese del mondo. L’emblema, la bandiera storica che questo Paese sventolava sulla testa di tutti i suoi potenziali rivali era quella del SELF-MADE-MAN, l’uomo che si era fatto da sé. Con questa locuzione veniva inteso denominare quella mentalità tutta anglosassone di creare sistemi economici che davano l’opportunità di arricchirsi a chiunque, anche se partiva da umili origini. Serenamente ed obiettivamente, questo concetto non è stato tradito molto spesso. Fino a poche decine di anni fa. Oggi è quasi impossibile per un americano che viene dai bassifondi fare fortuna in modo legale. La battaglia persa dal self-made-man è stata vinta dalle Corporation. La globalizzazione ha fatto il resto. Per il timore dello spauracchio europeo, con l’era Clinton, gli Stati Uniti hanno favorito l’espansionismo cinese e indiano ed oggi arrancano in un economia che non riescono più a governare perché non la comprendono più. La loro principale ricchezza, come detto, è sempre stata l’iniziativa privata, l’individualità del singolo che era in grado con un’idea, con il proprio lavoro, con la fortuna (perché no) di essere d’esempio per gli altri. Oggi, la ricchezza è diventata come l’energia. “Non si crea e non si distrugge”. Le posizioni sociali raggiunte costringono tutti all’interno di una stretta cerchia economica che sa tanto di “casta” indiana. La Corporation è formata da un insieme di soci è questo potrebbe sembrare una rivisitazione del concetto dell’uomo che si è fatto da sé. Non è così. In un mercato selettivo e lobbista come quello di oggi, governato dal capitalismo mondiale, i protagonisti sono sempre gli stessi. E lo saranno ancora per molto tempo. Almeno fino a quando un SELF-MADE-MAN non deciderà di rinverdire le gesta di un tale Ned Ludd che è passato alla storia per aver tentato di fare una rivoluzione contro il progresso, la tecnologia. Attendo con impazienza quel giorno.