giovedì 2 ottobre 2014

Eboluzione


La Peste Nera, detta anche la Grande Morte o la Morte Nera, fece (solo in Europa) decine di milioni di vittime a partire dalla prima metà del 14° secolo. Il primo ceppo del letale virus Yersinia Pestis apparve nel deserto del Gobi, in Mongolia, trasportato da ratti e pulci. In Europa giunse da una colonia genovese di nome Caffa (nell'odierna Ucraina). Il Khan, Gani Bek, aveva stretto sotto assedio la “Regina del Mar Grande” quando incominciarono a verificarsi i primi casi tra le sue truppe. Falcidiate dal morbo l'esercito si assottigliò e il tiranno fece lanciare dentro le mura dell'avamposto, con le catapulte, i cadaveri infetti. I marinai e i commercianti, scampati alla morte per mano del Khan, portarono in Patria il virus e attraverso le pulci contribuirono a diffondere il morbo in Europa. I focolai di Peste cominciarono a diffondersi nei porti per poi raggiungere ogni punto del continente. Non si conosceva cura efficace e, paradossalmente, gli accorgimenti messi in atto per debellare la piaga contribuivano, invece, ad amplificare la sua propagazione. Tutti i cadaveri e gli oggetti di proprietà dei malati (case comprese) venivano spesso bruciati. Coperte e vestiti, considerati l'unico patrimonio irrinunciabile, venivano esentati dal rogo. Le pulci “infette”, ovviamente, si spostavano proprio utilizzando i tessuti e la Peste continuava a diffondersi come e più di prima alimentando il suo mito negativo di “invincibilità”. Oggi, la Peste Nera che è ancora viva ma rintuzzata da antibiotici ha un nuovo nome. Al virus Yersinia Pestis si è sosti- tuito quello dell'Ebola, EBOV VP30. Ai ratti e alle pulci si sono avvicendati i gorilla e i pipistrelli. La percentuale di mortalità è altissima (dal 50 all'89%). I cadaveri vengono abbandonati in mezzo alla strada e coloro che li trattano (i becchini, gli animali necrofori ma anche i bambini che accidentalmente possono venirne in contatto) sono i principali diffusori della malattia. Il contagio avviene tramite fluidi corporei e più difficilmente con l'epidermide. Il “Nuovo Ordine Mondiale” ha dapprima evitato di affrontare il problema. Mentre in Paesi come il Kosovo o l'Iraq l'intervento militare era l'unica opzione umanitaria possibile, in questo caso si è pensato bene che il gioco non valesse la candela. In fin dei conti, l'opinione corrente era che si trattasse di un'epidemia circoscritta al solo centro Africa e che non sarebbe mai potuta giungere ad impensierire le grandi potenze economiche. La stessa velocità di incubazione del virus (dai 2 ai 21 giorni) giocava a sfavore della possibilità di una pandemia. Comparsa per la prima volta nel 1976, Ebola è oggi il degno erede della Peste Nera. L'ignoranza e il cinismo, la stupidità e la cupidigia, stanno alimentando il virus fino a quando non ci saranno morti “eccellenti”. Solo allora, forse, l'attenzione dei governi del mondo si concentreranno su questo flagello con la dovuta attenzione. Speriamo che, nel frattempo, la conta dei morti sia sì triste ma limita
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lunedì 16 giugno 2014

L’UOMO A QUATTRO RUOTE E IL CONSUMISMO ODIERNO


Dopo il 1909 il mondo non è più stato come prima e non sarà mai più come prima. Infatti, con la pubblicazione del Manifesto del Futurismo (20 febbraio 1909, appunto) di Filippo Tommaso Marinetti, la razza umana entra nell’Era della Macchina e, in particolare, in quella dell’Automobile. Sì, quell’automobile che non solo è entrata a far parte della nostra quotidianità (non si può più vivere senza l’automobile!) ma addirittura della nostra antropologia. Questo, perché, come scrisse Marinetti nel celebre Manifesto: “un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. Perciò, altro che andare in “crisi” se una amministrazione comunale vieta per un giorno la circolazione delle automobili. Si va in crisi eccome, perché noi, ormai, siamo uomini-auto e senza automobili tutta la nostra società andrebbe in tilt, perché tutto ormai si basa sul trasporto e sulle lunghe distanze. Certo, l’auto crea traffico, inquinamento e incidenti, ma ci permette anche di spostarci per lavorare, di trasportare d’urgenza persone che si sentono male, di avere comodità impareggiabili (come recarsi agli appuntamenti galanti e godere dei diletti erotici in luoghi appartati, raggiungibili solo con l’auto), di non soggiacere agli orari rigidi e al mal funzionamento dei mezzi pubblici. Altro che criticare la società dell’automobile perché produce il traffico! Per noi neofuturisti (e io, sotto molti aspetti, ritengo proprio di esserlo!) l’automobile è diventata una parte complementare del nostro corpo. Ormai, l’uomo moderno viaggia sulle quattro ruote e non più sulle due gambe! Chi rifiuta l’uso dell’auto (liberissimo di farlo), si taglia però fuori dalla storia, dalla società odierna, e va incontro ad una vita di rinunce, disagi ed emarginazioni. Chi lo vuole fare, contento lui, ma non condanni in toto il mondo degli uomini-automobile, che è quello presente, immodificabile e insostituibile. E poi, perché predicare una vita di rinunce? L’uomo deve godere “dannunzianamente”, deve spendere e spandere, e ben vengano i grandi ipermercati pieni di ogni bendidio e la possibilità (per chi ha i soldi) di comprarsi tutto quello che vuole passando intere giornate nei centri commerciali. Come dicevano giustamente D’Annunzio e Marinetti (entrambi esteti, entrambi amanti del superfluo, entrambi prodighi): “È il superfluo che rende piacevole e godibile la vita”. E in quest’epoca globalizzata (certo anti-umanistica, certo troppo tecnologizzata), per chi ha le possibilità economiche, il superfluo dona infinite occasioni di soddisfacimento (pensiamo solo a quanti libri, film in dvd e cd musicali è possibile oggi acquistare, per godersi la letteratura, il cinema e la musica, rispetto a 50 o 100 anni fa!). Quindi, nessuna rinuncia edonistica, nessuna limitazione dell’automobilismo antropologico, ma piuttosto invito a “prendere coscienza” dei propri piaceri. Una “rivolta contro il mondo moderno”, secondo me, non deve essere fatta in chiave “limitativa” (contro gli ipermercati, contro le automobili, contro i telefonini, i computer portatili, i dvd o tutte le altre cose belle che la tecnologia odierna ci offre) ma piuttosto in chiave di “presa di coscienza”, ovvero godere del consumismo non diventandone schiavi, essendo coscienti di quello che si spende e facendo dell’edonismo una regola di vita che, però, non ci privi della nostra libertà (per esempio, spendere 50 Euro per giocare al Casinò va bene, ma l’importante è non giocarsi tutto lo stipendio o tutti i risparmi che si hanno banca: il piacere esige anche un limite, una moderazione). Se si deve scegliere, non bisogna fare scelte di “rinuncia anche a costo di star male”, bensì delle scelte coscienti in base alle proprie possibilità economiche: chi ha più soldi spende di più, chi ne ha meno spende di meno. L’importante, però, è spendere e spandere, non essere né spilorci né tirchi, acquistare, comperare, consumare, fare girare l’economia, far circolare i soldi: il risparmio assillante ed ossessivo, dominato dalla ridicolo paura del domani, è antiquato e non fa più parte di questa Era delle macchine e dei consumi. Perciò i tirchi pauperisti odierni, gli spilorci che hanno paura di spendere e che vorrebbero far chiudere tutti i centri commerciali e i grandi ipermercati in quanto disgustati per il fatto che le famiglie “passano la domenica là dentro”, la smettano una buona volta di rimpiangere società agresti e patriarcali, vecchi mondi di contadini e artigiani, dove si mangiava solo pane e latte e dove il consumo dei beni di diletto non solo non esisteva ma non era neppure lontanamente immaginabile… La vita è una sola e bisogna godersela: le “rinunce”, degne di gretti misoneisti, ottusi anacoreti e deliranti sanfranceschi, non fanno per l’Uomo-automobile ed edonista che è nato nell’era della “eterna velocità onnipresente”, come diceva Marinetti, noto come “caffeina d’Europa”. E da buon capo del Futurismo, qual era, ritengo proprio che avesse ragione!

Pane, amore e fantasia


Si discute sui continui sbarchi di clandestini in Italia e si criticano sia i costi dell'operazione “mare nostrum” che la sua efficacia. In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dal Premier Letta, aveva deciso di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia autorizzando l'operazione «Mare nostrum», una missione militare ed umanitaria la cui finalità era ed è quella di prestare soccorso ai clandestini prima che possano ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo. L'Europa assiste immobile e sorda ai continui sbarchi e liquida il problema come se fosse tutto italico e non di rilevanza per tutti gli Stati dell'Unione. Insomma, pretende che noi si disinneschi o si faccia brillare questa mina vagante e, ovviamente, lo si faccia senza troppo clamore e soprattutto con mezzi propri. Tutte le pieghe di questa operazione ci permette di riflettere sul concetto di razzismo e su quello dell'immigrazione. Il Dalai Lama, recentemente, ha affermato che “se si chiamano rifugiati vuol dire che fuggono da qualcosa ma il buon cuore per accoglierli non basta e bisogna avere il coraggio di dire quando sono troppi e di intervenire nei loro Paesi per costruire lì una società migliore”. E' così impossibile o improponibile? Analizziamo la costa africana dalla quale partono gommoni o traghetti della speranza. I Paesi dai quali salpano questi barconi sono sostanzialmente 2: la Tunisia e la Libia. Nella striscia costiera questi Stati vantano coltivazioni di olive, arance e datteri e la loro porzione di mare è ancora ricca di pesce. Non costerebbe meno cercare di fare accordi commerciali coinvolgendo le nostre imprese per garantirsi un settore produttivo satellite (come fece il Giappone con Hong-Kong, Singapore, Taiwan) e un possibile mercato futuro? Perché preferiamo sempre usare l'esercito e vivere nella costante emergenza anziché usare veramente la diplomazia ed il mercato in chiave positiva e di unione tra i popoli? Anche perché italiano, a mio parere, è chi ama questa terra e lavora, costruisce, guadagna e risparmia entro i patrii confini. Indipendentemente da quale sia la sua origine etnico-geografica. Lo scandalo del MOSE ci aiuta a capire. Una persona che porta i propri soldi (lecitamente o illecitamente) nei Paradisi fiscali mi viene difficile pensare che sia un “italiano vero”. Stessa cosa è pensabile per chi lavora in Italia allo scopo di ritornare al proprio Paese d'origine con i soldi guadagnati. In questo caso, il progetto di crescita di lavoro e ricchezza delle coste libiche e tunisine potrebbe essere più interessante che non quello individuale che sta cercando di realizzare in terre che non intende riconosce come sue. Il problema degli sbarchi sulle nostre coste si può risolvere con un po' di pane, amore e fantasia. Qualcuno ci ascolterà?

mercoledì 14 maggio 2014

GEOINGEGNERIA??? NO GRAZIE! Seconda puntata Cieli puliti e senza scie chimiche, per i nostri figli – alcune precisazioni e foto


Di Provocator (A.C.)
Un cordiale saluto a tutti gli affezionati lettori di questa rubrica che ha come scopo principale quello di far aprire gli occhi su situazioni che ci vengono vendute come essenziali per il nostro progresso e invece…fanno del male all’umanità e ingrassano solo lobbies, multinazionali, gruppi di potere nascosti e poche famiglie che controllano il nostro pianeta. A seguito dell’articolo dello scorso numero dedicato alla problematica delle inquinanti “Scie Chimiche”, vi riporto ancora alcuni spunti di riflessione e alcune note essenziali. Parto con una doverosa correzione dal momento che uno dei siti da me citati l’altra volta (per altro un sito di primaria importanza nella lotta con le subdole “chem trails”) è www.tankerenemy.com e non www.tankerenemy.it. Proprio qui viene riportata l’informazione (da sapere!) che in funzione della visibilità (in Km o miglia) negli ambienti urbani e non, dove viviamo, esiste un’allarmante proporzionalità inversa con il tasso di mortalità. “…… A questo proposito il ricercatore statunitense Clifford Carnicom, già nel 2004, scrive: "E' stato sviluppato un modello per descrivere l'aumento stimato del tasso di mortalità in funzione della diminuzione della visibilità. I risultati di questo modello in forma grafica sono indicati di seguito. Si può osservare che la mortalità aumenta al diminuire della visibilità e che l'effetto è altamente significativo. Questo modello non prende in considerazione gli effetti ulteriori negativi sulla salute che si verificano a causa della natura tossica delle polveri sottili. L'American Hearts Association stabilisce che un aumento della densità di particolato provoca un incremento della mortalità. L'aumento previsto è espresso secondo un rapporto che stabilisce un incremento dell'1% di mortalità per un aumento di 10ug (microgrammi) per metro cubo. Altre fonti riguardano un aumento della mortalità del 3,4% con gli stessi valori di nanoparticolato…”. Qui, a seguire, la tabella con tali risultati allarmanti. Ciò detto (e come non pensare alle nostre nebbie, ai nostri cieli grigi di smog e ai letali inceneritori), nello scorso articolo avevo segnalato la presenza di foto che immortalavano nei cieli pinerolesi e torinesi evidenti scie chimiche e curiose traiettorie. Ma le foto poi non c’erano…eccovele, qui, per la vostra riflessione: ho avuto modo di riprenderle personalmente. E per lasciare ancora pochi spunti per il nostro ragionamento, come non pensare al fatto che dalla ricaduta dal cielo sulla terra, in formato gassoso o liquido, di tali sostanze e del relativo nanoparticolato non vengano inquinate le falde acquifere e le acque irrigue, i terreni e le coltivazioni, e via via, contaminati gli animali degli allevamenti e quindi, drammaticamente, i prodotti alimentari e come conseguenza finale la nostra salute??? Addirittura esistono rilievi chimici (riportati da “napoliTime.it”) che parlano di aumento di tali sostanze addirittura in molti vaccini per adulti e bambini!!! Ma siamo pazzi?? Purtroppo no. E a questo punto vi pongo un ultimo quesito prima di aggiornarci alla prossima puntata. A chi giova tutto ciò? Si può rispondere “A molti!!!” ma particolarmente alle……. Case farmaceutiche!! Che in base alla nostra salute in rapido peggioramento possono solo sfregarsi le mani e vedere aumentate a dismisura le vendite di medicinali che spesso, anziché curare le cause dei nostri malanni, non fanno che aggiungere devastanti effetti collaterali e altre patologie in un letale circolo vizioso verso la nostra tomba.... Ma su queste simpatiche aziende (così come sui vaccini, soprattutto quelli inutili per il paziente) tornerò in prossimi articoli, e nel frattempo, come consiglio personale, tenete sempre gli occhi ben aperti su quanto ci accade intorno e …..anche sopra!! A presto.

martedì 13 maggio 2014

ARTE per il 26 Aprile


https://www.flickr.com/photos/120332833@N02/
Visitabile sino al 19 maggio/ L’arte multiforme di Isobel Blank/ Sino al 19 maggio, nei locali del Gallery Wine Bar, in Via San Tommaso n. 20, a Torino, è visitabile la mostra dal titolo “Works and Performance” dell’artista Isobel Blank, che nasce in Toscana nel 1979 e si laurea in Filosofia estetica a Padova. Isobel Blank pratica disegno, fotografia, musica, scultura. Le opere qui presentate sono ispirate ai racconti del grande scrittore americano Edgar Allan Poe: l’artista ha utilizzato diverse tecniche, non solo pittura, disegno e scultura, ma anche video e fotografia, per dare vita alle emozioni e alle sensazioni suscitategli dai racconti di Poe. Una scelta di questi è stata pubblicata in un volume edito da Phanés e Conti Editore, con il titolo “Trattare una celebrità e altre storie”, significativa scelta di storie orrorifiche e di humor nero. La mostra è curata da Domenico Maria Papa, il progetto è invece a cura di Phanés, Conti Editore e Gallery Wine Bar. Per ulteriori informazioni telefonare allo 011-0207658 oppure visitare il sito internet www.winebargallery.com Fabrizio Legger

venerdì 18 aprile 2014

mercoledì 16 aprile 2014

L'Utero di Satana

Tratto da Satan's Womb/L'Utero di Satana di Pier Giorgio Tomatis
Capitolo 2/ Il Dottor Spencer/ Raggiunto il proprio obiettivo, i quattro uscirono dal mio ufficio e dall’edificio. Quello più anziano, l'unico ad avere parlato, mi strinse la mano e mi sorrise. Compresi che si trattava di una condanna a morte. Mi chiusi nel mio ufficio e non ne uscii fino a tarda sera. Se non fosse stato per l’insistenza e le rassicurazioni del mio vice vi sarei rimasto per tutta la settimana. E anche oltre. Invece, feci lo sbaglio di accettare il suo consiglio e di seguirlo. Andammo verso i garages. Salii sulla sua auto. Lui mise in moto, manovrò per uscire in retromarcia ed affrontare il traffico cittadino. Prendemmo per Congress Street, poi la High e Cumberland, senza particolari sussulti. Non mi attendevo che quella giornata terminasse con un nulla di fatto. Non mi sarei aspettato, però, tutto quello che seguì. Una serie di spari mi riportò drammaticamente alla realtà. Feci appena in tempo ad udire le detonazioni che vidi Jeff perdere il controllo dell'auto, folgorato da almeno tre proiettili. Gli schizzi di sangue del mio amico, nonché braccio destro, mi bagnarono i vestiti e mi ricoprirono la faccia. Brandelli di carne si appiccicarono su diversi punti dell'auto. Sbandammo e finimmo per sfondare la vetrina di un concessionario. Evitammo di investire qualcuno per pura fortuna. Nel momento dello scontro, violento, contro una delle auto in esposizione, si misero in funzione l'impianto antincendio del locale, la sirena d'allarme e l'air-bag posto sul lato guida. Il mio, fortunatamente, non si aprì. Jeff aveva portato recentemente il suo mezzo a riparare ed evidentemente il lavoro non era stato fatto a regola d’arte. Avevo sbattuto violentemente la fronte sul cruscotto e sanguinavo ma, seppur dolorante, cercai di riprendermi. La tempestività poteva forse salvarmi la vita. Non c'era tempo da perdere. I miei assassini stavano, sicuramente, cercando di scoprire se io ero ancora vivo. Mi slacciai la cintura. Presi un fazzoletto e me lo annodai sulla fronte sanguinolenta, come se fosse stato una bandana. Aprii la portiera e mi feci largo tra i detriti per raggiungere l’uscita posta sul retro, il più velocemente possibile. Avevo appena chiuso la pesante porta di metallo alle mie spalle, quando sentii una raffica di mitra fare a pezzi il legno dei mobili, il ferro e parte del muro che mi stava separando dai miei aggressori. Ansimando, in preda a cieco terrore, corsi più in fretta che potevo. In strada, mi spostai a caso, cambiai diverse volte isolato, svoltai, procedendo a zig-zag, allo scopo di non dare punti di riferimento ai miei inseguitori. Mi acquattai dentro un minimarket e ne uscii solo dopo che furono trascorsi almeno una decina di minuti. Trovai ciò di cui avevo bisogno. Salii di corsa su di una corriera diretta ad Oakland. Cercai di camuffarmi come meglio potei, fra i sedili di coda. Se fossi stato fortunato avrei potuto scamparla, salvare la mia vita. Purtroppo, la dea bendata, anche quel giorno, aveva deciso di voltarmi le spalle. Una nuova raffica di mitra falciò la vita dell'autista e di tre o quattro passeggeri, seduti nelle prime file. Le lamiere dell'autobus sembravano contorcersi e fischiare per la velocità che l’automezzo stava prendendo. Un marciapiede ed un’automobile in sosta deviarono la sua folle corsa. La corriera si piegò su di un lato e proseguì la sua marcia raschiando la parete laterale sinistra sulla carreggiata. Le scintille provocate dall'automezzo si innalzarono fino ad un'altezza di sette metri e mezzo. Io mi strinsi forte ai sedili e con calci, pugni e la forza della disperazione cercai di sfondare il parabrezza alle mie spalle. Ci riuscii. Probabilmente cedette per le sollecitazioni cui era stato sottoposto fino a quel momento. Ma non c'era tempo per scoprirlo. Sgattaiolai all’esterno e mentre l’autobus stava ancora strisciando sull’asfalto, mi lanciai verso un lampione e poi sul tettuccio di un’auto in sosta. Non ero certamente salvo. Anzi, essere uscito allo scoperto faceva di me il perfetto bersaglio per un tiro a segno. La fortuna, che mi aveva dimenticato per tutta quella giornata, decise che era arrivato il momento di aiutarmi. Il suono di una sirena della Polizia e poi di un'altra, e un'altra ancora, suggerì ai miei inseguitori che fosse giunto il momento giusto per prendersi un caffè. Sapevo che avrei guadagnato solamente pochi minuti. Ero ben intenzionato a farmeli bastare. Scesi dall'auto e mi misi a correre in direzione di casa mia. Volevo raggiungere la mia auto. E poi, chissà, giocarmela per fuggire lontano. Pensavo di poterli seminare così. A piedi mi sentivo un bersaglio troppo facile, una preda inerme. Non smisi di correre un solo istante. Avevo una paura da morire. E l'adrenalina che scorreva a fiumi nel mio corpo sembrava avermi messo le ali ai piedi. Quando arrivai nei pressi di casa mia, quella stretta morsa che si era avvinghiata alla mia gola sembrò allentarsi. Fu una sensazione che durò solo per qualche brevissimo istante. Poi, tutto tornò come prima. Peggio, forse. Sufficiente a riempirmi di terrore. Vidi la mia automobile esplodere. Una colonna di fuoco e di fumo si innalzò per parecchi metri. Non feci in tempo a riavermi dallo spavento che notai un uomo dai capelli lunghi e mossi, con un paio di baffoni, chiaramente posticci, e degli occhiali da sole ben calati sugli occhi, mentre usciva dall'ingresso principale. Una decina di secondi più tardi, la mia casa si ridusse ad un cumulo di macerie. Il pezzo più grande aveva le dimensioni di una zolletta di zucchero. La mia casa. Migliaia di dollari erano sparsi sul selciato, anche a distanza di un miglio. Una mobilia in stile, i miei quadri di Edgar Degas, la collezione di Rolex d'oro, erano stati completamente disintegrati. La mia auto, una Aston Martin originale, stava bruciando davanti ai miei occhi smarriti. Il giardino, che curavo in ogni più piccolo dettaglio, assomigliava ad un campo di addestramento militare. Oscar, il mio robot giardiniere, non esisteva più. Tutto venne avvolto da una nuvola di fumo. Anzi, ogni mia proprietà era diventata parte di quella colonna di scuro, acre, vapore irrespirabile. Non riuscivo più a pensare, tale era l'angoscia che provavo. Avevo fatto uno sgarro alla malavita e quella era gente che non perdonava. Il mio torto era stato quello di incappare in un affare finanziario con il quale delle persone disoneste stavano cercando di farsi un lifting, un restyling, un vernissage, a scapito di tanti altri, onesti risparmiatori, i quali erano all'oscuro di tutti questi loschi traffici. Ed ora avevo perduto quasi ogni cosa. Il solo fatto di aver incrociato la strada con questa gente, mi era già costato centinaia di migliaia di dollari. E la mia vita stessa correva seri pericoli. Restai rintanato all'interno di uno scantinato, sempre più confuso sul da farsi. Guardai bene i diversi attentatori che mi avevano inseguito per mezza Portland, seminando morte e distruzione. Studiai il volto di coloro che mi avevano fatto saltare la casa e l'automobile e che, con mio grandissimo dolore, avevano ucciso il povero Jeff. Nessuno di loro aveva un volto che mi fosse in qualche modo familiare ma tutti delle facce poco raccomandabili. Restai fermo, quasi immobile, fino a quando sopraggiunse la notte. La stanchezza si fece sentire ed io sprofondai in un lungo e tormentato sonno. Sognai particolari inquietanti di quella giornata. Mi trovai faccia a faccia con quei gaglioffi, impugnai una pistola e sparai. Le pallottole sibilarono veloci verso i corpi dei componenti della banda. Tutti caddero sotto i colpi della mia arma, tranne l'uomo con gli occhiali da sole che aveva fatto esplodere la mia bella casa. Egli continuava ad avanzare verso di me, incurante delle pallottole che sembravano schivarlo. Avanzava, avanzava, facendo crescere in me una sensazione di angoscia, di puro terrore. Ma perché? Perché non mi voleva lasciare da solo ed in pace? L'uomo si arrestò a circa mezzo metro da me. Afferrò la mia arma, estrasse tutti i proiettili e li gettò in terra. Fatto ciò si mise a ridere in modo grossolano e volgare. Volevo che la smettesse, che la piantasse di ridere, di importunarmi, di attentare alla mia vita, di distruggere le mie cose. Fu allora che mi risvegliai. Era già mattina ed io ero impaurito e madido di sudore. L'incubo onirico era finito. Ora ricominciava quello reale. Rimasi nascosto per diverse ore e nella mia mente continuavano a susseguirsi le immagini della giornata precedente. Lo choc che avevo vissuto era senza precedenti. Attesi che si facesse pieno giorno. Con la luce del sole, lo scantinato non poteva più fornirmi il necessario riparo. Correvo il rischio di essere notato. Troppa gente nel quartiere si affaccendava nella pulizia dei prati o nell’eterna ricerca di un tassì per recarsi al lavoro. Cercai di ripulirmi e di ricompormi. Mi incamminai, alzando il bavero della giacca e fingendo di essere un ubriacone infreddolito. Barcollavo. Non mi era difficile farlo. Avevo dormito in uno scantinato, su di un pavimento di cemento, all’addiaccio, per un’intera nottata. Mescolarmi tra la gente sarebbe stata la cosa più facile che avrei potuto fare quella mattina. La prima della mia nuova esistenza. Dovevo trovare una soluzione. La mia vita, così come l’avevo sempre idealizzata, si era spezzata ma mi sforzavo di cercare di continuare ad andare avanti. Riflettei sul da farsi. Quale destino poteva essere riservato ad una persona che come me aveva perso quasi tutto ciò che aveva e che, onestamente, stava vivendo in uno stato di profondo terrore? Furono i suoni del traffico metropolitano a suggerirmi una scappatoia se non definitiva, certamente intelligente. Mi ricordai di una persona, in particolare. Faceva il medico e non ci eravamo mai incontrati prima. Eppure, sapevo molte cose di lui. Sui giornali avevo letto diverse notizie che lo riguardavano. Fondamentalmente, egli era un soggetto capace di esercitare un forte richiamo sui giornalisti che scrivevano per riviste e giornali scandalistici di poche pretese. Si chiamava Larry Spencer e, forse, sarebbe stata l'unica persona che mi avrebbe aiutato e di cui mi potevo sinceramente fidare. Era un esile trentenne che trascurava di curare i propri capelli e la barba. Aveva l’abitudine di tener legati i primi con dei lacci elastici. Il dottor Spencer, Larry, era il medico più atipico della città. Ex hippy, come tanti di loro, odiava così intensamente la tecnologia che non poteva esistere sul mio personal computer, o note-book, una sola informazione che lo riguardasse. Molto semplicemente, egli non aveva un cellulare, un indirizzo di posta elettronica, nemmeno un immobile. Abitava sporadicamente presso l’abitazione della sorella. Tuttavia, non era quasi mai rintracciabile. Passava le notti a casa di questa o quella amante. Finché durava. Persino il suo studio era quanto di più anticonvenzionale si fosse mai visto nella città di Portland. Larry visitava i suoi pazienti in un camper giallo che parcheggiava vicino a Raleigh Square. Era il solo modo per raggiungerlo e per questo motivo mi sentivo al sicuro. I miei nemici non potevano nemmeno essere sfiorati dall'idea che potessi rivolgermi a lui. Trovai degli abiti smessi in un cantiere edile e li scambiai, poco onestamente, con i miei. Alle tre del pomeriggio, all’incirca, il mio orologio da polso si era guastato con l'incidente del pullman e non potevo esserne troppo sicuro, mi trovai fuori dal suo camper e bussai alla portiera. Il Dottor Spencer l’aprì di slancio. Era nel suo stile ma questi dettagli non mi interessavano più in alcun modo. Mi riconobbe all'istante, diede un'occhiata nervosa dietro le mie spalle per vedere se ci fossero altri pazienti, pensai, e poi mi invitò ad entrare. Dai, entra. Svelto. Disse il dottore. Nonostante non mi conoscesse affatto. Le formalità non erano pane per i suoi denti. Ero capitato proprio nel posto giusto. Mi sollevò quasi di peso e mi trascinò all'interno del camper. Cercò delle bevande nel carrello minibar e preparò due bicchieri. Uno me lo porse dopo avervi versato del succo d’arancia, credo. L'altro lo riempì con della soda lemon e continuò a farlo ogniqualvolta si svuotava. Da quel che sapevo il dottore non amava gli alcolici. Lo si poteva intuire dal fatto che nel minibar tutte le bottiglie di whisky o liquore erano piene. Il fatto che, la mattina presto, prendesse qualcosa da bere, seppure di analcolico, era dovuto all'agitazione. Avevo dimenticato che quello che mi era successo avrebbe sconvolto chiunque. Cercai ugualmente di spiegargli l'accaduto. So tutto. Disse interrompendomi. In città non si parla d'altro. Quello che è successo ieri è costato il posto a diversi funzionari della Polizia. E ad altri sta prudendo maledettamente il culo. Certo, si sa che ti sei fatto dei nemici, che sei in una barca di guai e che, lo posso confermare, sei ancora vivo. Quel che non si sa è chi ce l'abbia con te e perché. Devi dei soldi a qualcuno? Domandò incuriosito. No. Fu la mia laconica risposta. No. Ripresi. Ho accidentalmente scoperto una truffa finanziaria in cui sono coinvolti autentici boss del crimine. Provai a spiegare. Il Dottor Spencer bevve avidamente dal suo bicchiere di soda. Andò nel frigo, prese un’arancia, la tagliò in più parti e ne mise una nel suo bicchiere. Lo riempì un'altra volta, poi sospirò. È peggio di quel che pensassi. Che intendi fare? Domandò, denunciando la sua più sincera preoccupazione. Mi hanno distrutto l’auto, la casa, la mia azienda, che vuoi che possa fare? Risposi, non trattenendomi dal fare uso di puro sarcasmo. Ti costituirai? Sì, cioè, andrai alla Polizia per chiarire tutto? Continuò ad incalzarmi il dottor Spencer. È una buona idea? Quelli hanno più appoggi tra i poliziotti che tra i politici... Suggerii amaramente. Questo è anche vero ma non vedo molte alternative. Concluse obiettivamente Larry e non mi riusciva di dargli torto. Io volevo chiederti… Cercai di riempire i polmoni di aria, mentre mi preparavo a supplicare il dottore… se potevi ospitarmi per un po', almeno fin quando le acque non si saranno calmate. Dopo, deciderò cosa fare. Mmh... perché hai pensato a me? Chiese Larry, mentre, con la mano destra, stringeva nervosamente il bicchiere di soda lemon e arancia amara che sfregava sul tavolo di legno. Hanno avuto accesso al mio computer. Ogni persona che mi ha avvicinato anche solo per una volta, ed è finito nel mio database, rischia quasi quanto me. Tu sei l'unico che conosco, e di cui mi fido, che non ha legami col mondo. Non potranno mai rintracciarti. Risposi in assoluta onestà. Magari mettendo sotto torchio qualcuno che compare sul tuo database... Suggerì sibillinamente il dottor Spencer. No. Noi due ci conosciamo ma più per fama che per altro. Ho saputo quanto c'è da sapere su di te dai giornali. Sei una tipica leggenda metropolitana. In carne ed ossa. Nessuno che conosco può fare il tuo nome senza fare anche quello di Madonna, Brad Pitt, Michael Chrickton. Per me sei l'equivalente di uno di loro. Conclusi. Ti ringrazio. C'è chi mi definirebbe in modo diverso ma credo di avere capito che nel tuo caso voleva essere un complimento. Disse Larry, non mascherando una certa punta di paradossale orgoglio nel sentirsi paragonare a quei personaggi che nella sua vita aveva sempre cercato di evitare, anche solo di assomigliare. Sono disperato Larry. Lo pregai. Non so dove andare. Non so cosa fare. Probabilmente, avranno messo una microspia in tutte le stazioni di Polizia da qui fino a Denver. La mia amarezza era pari alla mia lungimiranza. Rilassati. Non ho detto che non ti aiuterò. Solo, ciò che mi chiedi presuppone un impegno veramente fuori del comune. Disse il dottore prima di ingurgitare ancora il suo dannatissimo intruglio analcolico. Anche per questo sono venuto da te. Dissi con un filo di voce. Larry deglutì. Nonostante una leggera riluttanza nel condividere il suo camper con un perfetto sconosciuto, il Dottor Spencer accettò di fornirmi riparo ed aiuto fino a che le acque non si fossero calmate. Quando riceveva i pazienti io non mi facevo vedere. Per lo più, gironzolavo per la periferia della città, badando di mimetizzarmi tra la gente senza farmi riconoscere. Poi facevo ritorno e tutto ricominciava. Le settimane che seguirono scivolarono via nella calma più assoluta. Non accadde nulla di rilevante. Io cercai di ricuperare la serenità perduta e di fare chiarezza, per quanto mi fosse possibile, su tutto ciò che era accaduto. Evitai accuratamente di informarmi sulla mia situazione per mezzo della rete. Ricorsi a metodi più classici. Divenni un accanito consumatore di carta stampata. Larry accettò di buon grado la mia permanenza nel camper e dopo un po’ di tempo ci fece persino l'abitudine. La mia collocazione all'interno del modus vivendi del dottore era certamente provvisoria. Era la paura, l'insano terrore dell'ignoto, la pericolosità dei miei avversari, che faceva scorrere i giorni senza che una soluzione al problema venisse, da me, cercata e trovata. Ero un imprenditore che operava nel campo finanziario. Guadagnavo soldi facendo evitare alla gente dei salti nel buio. Lentamente, questo modo di essere e di pensare si era connaturato con il mio carattere. La mia principale dote era diventata l'analisi, l'obiettivo la sicurezza, il difetto l'azzardo. Ancora una volta a tirarmi fuori dalle secche, fu un aiuto esterno. Un giorno, facendo ritorno al camper, il dottore spezzò questo monotono grigiore con una notizia avuta da un suo cliente. Larry non stava più nella pelle dalla voglia di raccontarmelo.

lunedì 17 marzo 2014

Presi per il paniere

Tutti sappiamo, a grandi linee, che cos'è l'inflazione. L'inflazione, in economi,a è l'aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta. Come potete notare immediatamente dalla definizione, manca un dato fondamentale per capire qual è la reale capacità di spesa della moneta: le tasse. Oltre a ciò ci sono altri due fondamentali criteri che vengono a mancare per scattare una fotografia esatta del potere d'acquisto. Il primo è l'equità nella media aritmetica. Se nel paniere vi sono (per ipotesi) 100 oggetti di uso comune e la variazione di costo è dell'1%, l'inflazione calcolata sarà appunto quella. Poco importa se la media è stata ottenuta dall'aumento del 100% del prezzo di un oggetto e la diminuzione del 99 di un altro. La percentuale dovrebbe tenere conto del differenziale tra i vari beni. Altro criterio dimenticato è il peso del bisogno negli acquisti. All'interno del paniere, gli oggetti hanno tutti uguale peso e valore. Non esiste cioè una netta distinzione tra beni di consumo indispensabili e secondari. Non esiste, dunque, il calcolo dell'inflazione per i beni primari, secondari, ecc. Esiste un solo dato ufficiale che per brevità viene dato in pasto ai media. Per anni, l'unica difesa dall'inflazione che i salari hanno avuto è stata la cosiddetta “scala mobile”. Ufficialmente "indennità di contingenza", essa è stata uno strumento economico di politica dei salari, volto ad indicizzare automaticamente i salari all'inflazione e all'aumento del costo della vita secondo un indice dei prezzi al consumo. E' durata 9-17 anni. Negoziata nel 1975 dal segretario della CGIL Luciano Lama assieme agli altri sindacati e a Confindustria, è stata abrogata tra il 1984 e il 1992 dai governi di Bettino Craxi e Giuliano Amato, con l'accordo degli stessi sindacati. È stata sostituita dall’elemento distinto della retribuzione. Oggi, si parla di denaro che dovrebbe confluire nello stipendio degli italiani per rilanciare i consumi. Nessuno ha, però, ancora spiegato come intende salvaguardare questi soldi (ammesso che arrivino) dall'inflazione o dalle tasse. L'inevitabile conclusione è che si corra il rischio di esser presi tutti per il paniere...

domenica 16 marzo 2014

Libermé, Egalimé, Fraternimé

Libermé. L’AD FIAT Marchionne informa il Ministro dello sviluppo economico che le case automobilistiche che vanno a produrre in Brasile possono accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali. Per lo stabilimento a Pernambuco, in costruzione, la Fiat riceverà finanziamenti sino all'85% su un investimento complessivo di 2,3 miliardi di euro. A questi si aggiungeranno benefici di natura fiscale, quando sarà avviata la produzione di automobili, per un periodo minimo di 5 anni. Il manager afferma il proprio diritto di scegliere liberamente lo Stato in cui impiantare le proprie industrie. Basta che paghino. Il concetto di libertà industriale dell’italiano di Detroit prevede la costruzione di stabilimenti FIAT in quegli Stati che offriranno di più indipendentemente dal progetto automobilistico da sviluppare. La Libertà, caro Marchionne, è la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, usando la volontà di ideare e mettere in atto un'azione, ricorrendo ad una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a metterla in atto. Lei confonde i fini con gli strumenti, la forchetta con la pietanza. Lei non desidera la Libertà perché è pronto a venderla al miglior offerente. Egalimé. La banca è un'impresa privata che distribuisce beni e servizi e fornisce alla clientela mezzi di pagamento e di intermediazione finanziaria tra offerta e domanda di capitali (risparmi e prestiti) per far fronte ai propri investimenti. Viene quotata in borsa come qualsiasi altra impresa ma gode di privilegi unici che nessun altro ha. Mentre una qualsiasi azienda fa del just-in-time per produrre di più e meglio, una banca adottando lo stesso criterio andrebbe in crisi e fallirebbe. Non solo. A confermare la “diversità” dell’impresa bancaria ci sono le garanzie richieste per l’erogazione di un prestito. Se le aziende dovessero vendere i propri prodotti solo a chi paga in anticipo o che da garanzie di solvibilità dalla grande distribuzione (ad esempio) sparirebbero quasi tutte le merci visto che tali acquisti vengono fatti con emissione di fattura (e relativo pagamento) a 120 giorni. Le banche sono aziende del tutto diverse dalle altre ma vengono furbescamente equiparate alle stesse creando una evidente disparità economica e legislativa. Fraternimé. Il mercato, si sa, non è un Ente di beneficenza. Ciò che sta accadendo in Europa oggi, però, è drammaticamente singolare. Siamo informati con straordinaria dovizia che la Germania e la sua Banca Centrale si stanno accollando il destino dell’Europa. Dall’Unione monetaria, i tedeschi hanno ricevuto molti vantaggi e grande benessere. Ciononostante, senza un briciolo di umiltà e gratitudine, la Corte Costituzionale a Karlsruhe ha detto sì alla Merkel, al piano salva Stati, allo scudo fiscale ma l’aiuto non potrà superare i 190 miliardi di euro già stanziati, che corrispondono al 27 per cento del totale che è a carico della Germania (noi paghiamo per il 20 %, circa). Con questa decisione, i tedeschi ci hanno fatto sapere che intendono mantenere il proprio livello di egemonia politica ed economica in Europa pagando… poco. Si tratta di uno spirito di fratellanza molto egocentrico che cura i propri interessi di bottega e che deve necessariamente squalificare politicamente la Germania e le sue ambizioni transnazionali.

lunedì 10 marzo 2014

COST TO COST

No. Il titolo non contiene errori. Nell'anonimato più colpevole e assoluto, nel silenzio raccapricciante dei media collusi con questa politica sfascista, è scattato un nuovo aumento dell'accisa sulla benzina. Un operaio che nel 1980 guadagnava circa 30000 al giorno (15,56 euro) poteva comprare circa 40,8 litri di benzina. Nel 2008, con un guadagno di 30 euro (circa 57.820 lire) al giorno poteva comprare solo 25 litri di benzina, con una perdita netta di 15,8 litri di benzina ( 36,76%). Nel 2014, ipotizzando che l'operaio arrivi a guadagnare almeno 45 euro al dì ne potrà acquistare solamente più 23. In buona sostanza, si può affermare che in 34 anni il costo della vita ha eroso gli stipendi delle fasce più deboli in maniera sensibile costringendole a perdere standard di benessere. Negli ultimi cinque anni le accise sui carburanti sono state aumentate ben 10 volte, mentre l'Iva è stata incrementata per due. Aumentare i salari o diminuire la pressione fiscale sugli stipendi non è una risposta alla crisi che da sola può andare nella direzione di raggiungere un maggior livello di benessere e questo i nostri governanti lo sanno. L'inflazione che ne scaturirebbe (adesso siamo in una situazione deflazionistica) si mangerebbe in un sol boccone tutti i nuovi ricavi. Ricordiamoci che è il costo della vita il vero indicatore di benessere. Il calcolo che dobbiamo tener sempre presente non è quanti soldi guadagniamo ma cosa possiamo acquistare con quel denaro. Si è tanto parlato dell'aumento dell'IVA e di quanto potesse incidere sulle tasche degli italiani ma si continua a minimizzare sugli effetti dell'aumento delle accise sugli idrocarburi. In un Paese che, colpevolmente, sposta qualunque tipo di merce attraverso il trasporto su gomma l'aumento del prezzo della benzina è una mannaia che pesa su tutte le merci vendute o scambiate nel suo territorio, sul lavoro e sui servizi e li penalizzerà tutti. Indiscriminatamente. La mia proposta (nazionale) è di prestare la massima attenzione a questo fatto, prevedere una riduzione delle accise (anziché un incremento) e ovviamente un parallelo piano (serio) a medio e lungo termine per il ridimensionamento della dipendenza da idrocarburi di TUTTA la nostra industria e della nostra società.