mercoledì 9 dicembre 2009

La mano morta sul BLOG...


La mano morta sul BLOG...
L’ultima invenzione dei nostri governanti è quella che il web plagia le menti dei giovani, ne corrompe il buon senso e la capacità di discernere la verità dalla menzogna. Un noto parlamentare ha affermato che i blog sfuggono ad ogni controllo sull’informazione e rovesciano sugli utenti un cumulo di bugie e falsità che va assolutamente fermato prima che la linfa vitale di questa società venga irrimediabilmente corrotta. A tale scopo, sempre secondo il suo pensiero, urge una riforma del settore che uniformi l’informazione e l’interpretazione dei fatti ad essa collegati. In parole povere, il governo ritiene importante togliere ad ogni cittadino la possibilità di esprimere la propria opinione e relega ai soli mezzi d’informazione classici il compito di svolgere tale funzione. Peccato che mentre oggi, con i blog, ognuno può dire la sua, domani, senza blog, solo chi possiede o dirige un giornale potrà esser certo di esprimere un pensiero pubblicamente e di trasmetterlo alla collettività. Questo tentativo di imbrigliare la creatività del “popolaccio” ricorda moltissimo quello descritto abilmente parecchi anni fa da Ray Bradbury con il romanzo “Fahreneit 451” (da cui venne tratto l’omonimo film di F. Truffaut) ed era il fondamento dell’operato di un certo Joseph Paul Goebbels, agli inizi della rivoluzione mediatica. Spero vivamente che i blog restino ciò che sono e che iniziative volte a mettere il bavaglio alla libertà di stampa o alla libera espressione o circolazione delle idee finiscano per fallire in nome del buon senso e del rispetto della Costituzione e della dignità di ogni essere umano.

martedì 8 dicembre 2009

FAMILISMO oppressionista.


FAMILISMO oppressionista.
L’Italia è un Paese di raccomandati, si sa, ma c’è un altro fenomeno che va di pari passo con questa brutta consuetudine, accavallandosi con essa e, in modo quasi distorto, completandola. Si chiama FAMILISMO. Si tratta di quella concezione sbagliata di lasciare una attività ai propri figli, occupando un posto di lavoro di generazione in generazione. Il figlio del cantante diventa cantante, quello del notaio diventa avvocato, quello del chirurgo diventa medico, quello del carabiniere diventa… carabiniere. E via discorrendo. Gli impieghi pubblici, nonostante i concorsi, sono appannaggio di figli di… In una società così non c’è ricambio. Il sistema, le idee e le forze sono sempre le stesse e ricordano la situazione ben descritta da Franz Kafka nel suo racconto “Davanti alla porta della Legge”. Ma i figli, coloro che hanno ricevuto in dono un lavoro comodo e remunerativo senza conquistarselo, sono felici? Si sentono realizzati? Ricorderanno il gesto dei genitori con assoluta devozione? Raramente accade. E la società si impoverisce. Coloro che sono stati esclusi da una leale gara hanno smesso di correre, di lottare, di credere in un sistema di società che premia sempre i soliti a discapito dei migliori. Di fatto, il familismo è un fenomeno assai simile al diritto di nascita proprio delle monarchie e il raccomandatismo altro non è che un vassallaggio mascherato. Peccato però, che siamo in democrazia e che il potere del popolo sia ancora un valore indispensabile, pur se inespresso. La società occidentale che non permette al cittadino di avere uguali diritti ha ancora enormi margini di miglioramento. Da questo assurto si comprende che la rivoluzione borghese non ha sostituito un regime totalitario con una forma di governo della collettività ma lo ha semplicemente copiato, adattato a se stessa e abilmente mascherato. Verrà il giorno, prima o poi, in cui la coscienza collettiva si identificherà con quella individuale e allora, solo allora, la società umana comincerà a fare passi da gigante. Riusciremo ad aspettare con pazienza il momento storico giusto, continuando ad essere schiavi senza catene, servi senza padroni? Staremo a vedere…

lunedì 7 dicembre 2009

Raccomandatismo? No, grazie...


(Immagine tratta da http://deborahannolino.files.wordpress.com/2009/03/raccomandati.jpg)
Raccomandatismo? No, grazie...
Che cosa dovrebbe accomunare chi fa le leggi, chi fa il pane, chi guarisce le malattie, chi costruisce case, chi suona e canta davanti ad una platea gremita? Che cosa occorre per fare un ponte sicuro e resistente, un prodotto alimentare sano e gustoso, un’automobile efficiente comoda e veloce, un’operazione chirurgica che guarisca da una patologia inabilitante? Esiste un vocabolo nel dizionario della lingua italiana che accomuna chi ha un aratro trainato da buoi o raccoglie la frutta dagli alberi con le mani con i più grandi statisti e amministratori delegati di grandi aziende. La parola in questione è QUALITA’. L’ingrediente fondamentale senza il quale ogni cosa si fa più piccola è proprio questo.
Pensate se a tirare il calcio di rigore, che designerà la vittoria o la sconfitta della vostra squadra in un importante torneo internazionale, fosse una persona qualunque che non ha mai calciato un pallone in vita sua.
Pensate se il vostro capoufficio vi comunichi di aver affidato l’incarico che spettava a voi per competenza, titoli, impegno, anzianità, ad un altro che non ha alcun requisito professionale da spendere.
Pensate se una legge importante fosse promulgata sulla base di un disegno presentato da un incompetente che non ha mai conosciuto i temi che vengono trattati in quest’ambito specifico e sia votata e approvata da rappresentanti del popolo ancor meno capaci ed informati.
Pensate se un’operazione fondamentale che divide la vostra vita dalla morte non fosse condotta ed eseguita da un’equipe di medici ma da inesperti con insufficienti conoscenze teoriche e nessuna attitudine alla manualità.
Pensate se il cibo che state cucinando o servendo sulla vostra tavola fosse stato prodotto senza alcuna cura o attenzione ai normali criteri igienico-sanitari e gli alimenti risultino vistosamente alterati e/o contaminati.
Pensate a quante volte avete visto persone meno dotate svolgere un compito che toccava a qualcun altro e capirete nel medesimo istante perché l’Italia ha una marcia in meno rispetto a qualunque altro Paese del mondo. Checché ne dicano i grandi soloni dei rilievi statistici internazionali.

sabato 28 novembre 2009

Perché la cinghia non la tirate voi?


Perché la cinghia non la tirate voi?
Reputo scandalose le affermazioni del Senatore della Repubblica Gianfranco Rotondi che consiglia le aziende operanti in Italia di negare la pausa pranzo ai propri dipendenti. Sono le ore più produttive ed occorrerebbe lavorare di più. Il Paese ne trarrebbe giovamento, è il suo parere. Anch'io ho un parere: se tutti i nostri parlamentari venissero stipendiati in base al rendimento avremmo risparmiato una finanziaria per i prossimi vent'anni. L'ex-Ministro Francesco Rutelli vorrebbe spezzare le ferie degli italiani. Non ci è dato di sapere cosa pensino di spezzare gli italiani. Forse, se facessimo uno di quei sondaggi tanto cari al nostro Premier, scopriremmo qualcosa che al leader di Alleanza per l'Italia era sfuggita. Ma ad essere completamente immorali non sono solamente le esternazioni dei nostri politici ma anche gli stipendi dei nostri manager. Utilizzano le auto pagate dall'azienda, i cellulari, il telefono, le abitazioni, hanno bonus e incentivi economici, escort, senza che venga loro richiesto un risultato specifico. Se una società è in crisi perché il suo amministratore delegato mantiene i suoi privilegi? No. Non se ne può veramente più. E' ora che ci si dia una regolata. Tutti. Se si vogliono rivedere le posizioni acquisite col tempo si cominci da chi sta in alto e può permettersi di togliersi "vizi" tutt'altro che da sussistenza. Il resto del paese è in ginocchio e non può più permettersi di mantenere questo stato di cose.

venerdì 27 novembre 2009

Harry Potter ha chiuso...


(Immagine tratta da http://thecia.com.au/reviews/h/images/harry-potter-1-1.jpg)
Harry Potter ha chiuso...
L’Associazione Gruppo SISIFO chiude. L’Associazione era nata con il preciso scopo di realizzare il progetto “La lettura è magia” e prende atto che in Piemonte un progetto simile non si può realizzare. Almeno, non con i canoni scelti dall’AGS. Si tratta, per chi risulta non informato, di un’iniziativa solidale e culturale, volontaria e non lucrativa, grazie alla quale l’AGS (gli Enti pubblici, a parte parole d’incoraggiamento non hanno contribuito per un solo centesimo) regalava di tasca propria 1000 Euro in buoni d’acquisto per libri di testo o di lettura all’Istituto scolastico e agli studenti vincitori del concorso. Non si è raggiunto il numero minimo di partecipanti. A dir la verità nemmeno il minimo del minimo. Gli organi di stampa (eccezion fatta per Il Monviso e www.traspi.net) ci hanno ignorato. L’Istituto Scolastico Regionale, pure. I Dirigenti Scolastici hanno passato l’informativa al collegio insegnante. Credo. Spero. Gli alunni sono stati informati ed hanno potuto scegliere. Forse. Me lo auguro. Nessuno ci ha aiutato a realizzare questo progetto. Anzi, paradossalmente, lo sforzo maggiore, all’esterno dell’AGS, è stato fatto da J. K. Rowling. Agli studenti piemontesi non piace Harry Potter? Può darsi. Agli insegnanti non piace avere la “magia potteriana” quale materia di insegnamento didattico? Chissà. I Dirigenti Scolastici non approvano le tematiche culturali del Progetto? Chi può dirlo. La riforma Gelmini ha tagliato le gambe alla nostra iniziativa? L’ho sentito ripetere da tanti addetti ai lavori. Non so se crederci o meno. La crisi ha condizionato la scelta dei progetti didattici? Ho visto che si stanno realizzando progetti dove non c’è nulla da guadagnare e addirittura da investire. Non lo so. Non so perché il progetto “La lettura è magia” è affondato o è stato fatto affondare ma il significato di questa sconfitta va oltre. Ridisegna i confini stessi dell’Associazione che si è sentita contestare da funzionari istituzionali che il suo status non è quello di un’associazione di volontariato perché intende realizzare un progetto che coinvolge degli insegnanti scolastici e che, come tale, risulta a scopo di lucro. Perché vi chiederete. Me lo sono chiesto anch’io. E ho posto tale domanda agli organi interessati. La risposta è stata che i veri protagonisti del concorso letterario non sono gli studenti che avrebbero dovuto scrivere il capitolo mancante della saga di Harry Potter… no, sono i loro insegnanti. Che sono stipendiati dallo Stato e quindi, il Progetto non è di volontariato. L’assurdità di queste considerazioni va di pari passo, secondo me, con l’assurdità di quel sistema burocratico-isituzionale che dovrebbe regolare la vita di una società allo scopo di migliorarla e che invece la condiziona pesantemente. Un risultato l’ha ottenuto. L’Associazione chiude e tra noi non si parlerà di attività solidali per molto tempo. Io spero mai più. La crisi economica lascia il segno dappertutto. Le fabbriche chiudono. I lavoratori pagano il dazio di questo capitalismo schifoso ed inumano. Mille Euro avrebbero fatto comodo. Non è andata così. Vorrà dire che ce li terremo e li dedicheremo a progetti personali che non coinvolgono la Scuola, le Istituzioni, il Volontariato. Loro ci hanno appena detto che non ne hanno bisogno. E per noi va proprio bene così.
Pier Giorgio Tomatis
Presidente Associazione Gruppo SISIFO
pgt2004@alice.it
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domenica 8 novembre 2009

Quando l'ASL diventa la Santa Inquisizione


Quando l'ASL diventa la Santa Inquisizione
HACCP. Si tratta di un acronimo inglese che indica l’Hazard Analisys Critical Control Points, ovvero l’Analisi dei Pericoli e dei Punti Critici di Controllo. L’utilizzo di questo sistema, elaborato dalla Pillsbury nel 1973 per garantire la sicurezza degli alimenti per gli astronauti della NASA, si è diffuso in tutto il mondo come metodo riconosciuto ed accettato a livello internazionale, divenuto esecutivo anche nel nostro Paese dal momento in cui esso ha recepito una normativa europea e si è adeguata a questa serie di criteri. Ciò che favorisce la crescita di una civiltà è sempre da considerarsi positivo. Tuttavia, data l’arbitrarietà con cui si può interpretare tale strumento i somministratori ed i rivenditori di alimenti e bevande sono stati dati in pasto a tutta una serie di figure professionali di cui forse non se ne avvertiva affatto l’esigenza. I cosiddetti consulenti sanitari che seguono le ditte di i recente formazione e le stesse ASL stanno operando in nome di una legge nata con il nobile scopo di documentare ogni fase di lavorazione e di responsabilizzare ogni operatore per ogni singola operazione del processo produttivo. In questo modo la sicurezza di un prodotto alimentare, dal punto di vista igienico, viene notevolmente incrementata. Questo perché cresce la paura di sbagliare. Le multe sono salate quasi quanto quelle dovute per reati di tipo fiscale. In conclusione, però, tale normativa è vaga e non pone degli standard precisi da rispettare. Facciamo un esempio: se un parametro di lavorazione e vendita del pane fosse quello di non utilizzare il legno, tutti i panettieri e rivenditori dovrebbero sostituire i vecchi tavoli da lavoro e gli scaffali di vendita. Invece, grazie all’opera di persuasione dei cosiddetti consulenti sanitari e degli operatori della ASL a correre questo serio rischio sono solamente le attività di nuova formazione. Come a dire, paghino gli ultimi per tutti. Quando si intende aprire un’attività in campo alimentare è bene sapere che l’80, 90% del costo di start-up sarà costituito da spese relative a messa a norma dei locali (cosa che in buona parte deve essere fatta dagli affittuari ma che quasi mai avviene nella realtà). Chi paga tutto ciò? Il neo imprenditore, ovviamente, e i suoi clienti. Un applauso all’Europa, al sig. Pilsener, alla NASA e a tutti gli sfortunati imprenditori del settore. Dopotutto, il primo, vero, grande pericolo che si determina con l’applicazione dei criteri HACCP non è la contaminazione degli alimenti ma l’ASL.

sabato 7 novembre 2009

Scende la neve dai (Tre)monti


Scende la neve dai (Tre)monti
(foto tratta da http://vibrisse.files.wordpress.com/2009/10/giulio_tremonti_777t1.jpg)
Lo ammetto. Ai tempi del “Libro bianco” ero un fan di Giulio Tremonti. Credevo che la sua ascesa avrebbe decretato la fine di quell’economia italiana raffazzonata e arruffona che così poco apprezzavo. Poi, si sono susseguiti i governi (dal ’95 sono saliti a Palazzo Chigi due volte Prodi e Berlusconi), le politiche economiche (le riforme di Sinistra, quelle della Destra), il caro petrolio e la crisi. Il Superministro dell’economia ha avuto tempo e poteri sufficienti per stupirmi. Non lo ha fatto. Il Tremonti di oggi sembra lontano parente dell’autore di quel libro così intelligentemente scritto. In verità, del Ministro del Pdl mi ha sorpreso la sua posizione sul lavoro a tempo indeterminato (dopo che la sua coalizione si era data così tanto da fare per introdurre ed incentivare nuove tipologie contrattuali), nei confronti delle banche che non svolgono il compito di registi dell’economia (al di là di qualche scontro verbale non mi risulta che tale casta abbia modificato il proprio modo di operare), sull’aumento salariale dei lavoratori dipendenti per un vero e serio rilancio dei mercati (peccato che le uniche cose che stanno aumentando sono gli stipendi dei politici e il debito pubblico italiano). Se simili esternazioni sono frutto di un calcolo elettoralistico le ho trovate molto intelligenti nella loro impostazione, tuttavia non in grado di farmi cambiare giudizio sul Ministro o opinione su quanto ha fatto durante il suo mandato. Ritengo che il motore dell’economia non vada acceso con dichiarazioni populiste e opportuniste, bensì con una forte scossa che può essere determinata solamente da un nuovo modo di vedere il mercato. Che poi è ancora quello vecchio. Il cliente ha sempre ragione e il venditore deve soddisfarne i bisogni (non i propri). Basta con l’oligopolio petrolifero e quello degli amici di Bill (Gates, ovviamente). Se riusciremo a sbarazzarci di queste anomalie di mercato tornerà il bel tempo in economia. Solamente così.

domenica 1 novembre 2009

Mo’ M’ARRAZZO…


(foto da http://www.verdinrete.it/rieti/regionali2005/marrazzo.jpg)
Mo’ M’ARRAZZO…
Dopo la vicenda che ha coinvolto l’ex-Governatore della regione Lazio i mass-media stanno proponendo ai cittadini italiani spunti di riflessione sui gusti sessuali dei parlamentari. Posto che di fronte ad un evidente tentativo di concussione l’unica risposta possibile da parte di una carica istituzionale è un fermo no, credo sia ininfluente dal punto di vista politico sapere se un parlamentare sia eterosessuale, omosessuale o altro. La differenza tra i cosiddetti Onorevoli è determinata solo dalla loro capacità di comprendere le esigenze dei cittadini, leggere il momento storico nel quale stanno vivendo, formulare delle leggi in grado di garantire il miglioramento dello status quo. Sinceramente, i problemi e conflitti sessuali dei politici italiani non mi interessano e non mi aiutano a vivere meglio. Non desidero essere informato dell’argomento.

Le vere associazioni per delinquere


(foto da http://tmx.com/en/images/highRes/Oct14-2008.jpg)
Le vere associazioni per delinquere
Circola la voce che la crisi stia ledendo i diritti sindacali dei dipendenti. Pare che alcune aziende che hanno subito di striscio il contraccolpo economico delle borse se ne approfittino per speculare (in nero, ovviamente) e fare denaro sulle spalle dei lavoratori. Gli straordinari non verrebbero conteggiati in busta paga, ad esempio, e sarebbero liquidati come compensi ordinari. Su tutto ciò calerebbe una cappa di omertà giustificata dalla minaccia incombente della recessione, del licenziamento, del ridimensionamento. “Se ti va bene è così, altrimenti puoi sempre rivolgerti ad altre ditte (quelle che stan chiudendo o mettendo in cassa integrazione i propri dipendenti)”. Se si tratta solo di una diceria, di semplici casi isolati, possiamo definire il tutto come racconto di dubbio gusto e tutt’altro che divertente. Nel caso in cui ciò corrispondesse a realtà, ci troveremmo di fronte a vero e proprio sciacallaggio. In una società umana civile il profitto non giustifica mai il venir meno degli obblighi legati all’etica, al rispetto reciproco, al progresso evolutivo. Il capitalismo non ha, nel suo DNA, le caratteristiche per diventare un sistema modello di umanità. La spasmodica e irrefrenabile ricerca del profitto non porta giovamento al nostro habitat, alla pacifica convivenza, al rispetto delle peculiarità del nostro essere uomini. E oggi, il sistema economico mondiale si basa sulla sola regola del capitale. Non vi sono autorità in grado di contrastarne gli usi e gli abusi, i vizi e i misfatti. Alla base di questo aberrante modello comportamentale vi è un esigenza egoistica di prevaricazione nei confronti degli altri che vengono visti come nemici da distruggere e non da avversari da superare. Un buon aiuto a sostenere la dittatura del capitale è stata la scelta della Corte Suprema statunitense di riconoscere pari dignità tra soggetti fisici e quelli giuridici e l’abbattimento dei vincoli di oggettività e di temporalità nei confronti delle società. Con il 14mo emendamento della Costituzione Americana, scritta per dare gli stessi diritti ai neri, le Corporation, sorte già nel primo Settecento, subito travolte da immensi scandali speculativi e proibite per quasi un secolo, risorte a metà Ottocento per avviare quello che diventerà il grande processo di globalizzazione del mercato mondiale dei nostri giorni, una volta che nascono e vengono riconosciute in modo legittimo non hanno più l’obbligo di sciogliersi una volta raggiunto lo scopo societario alla scadenza prefissata. Perché il CRIMINE non scade. MAI.

La politica che nessuno si può più permettere


(foto da http://gastonemariotti.com/wp-content/uploads/2008/06/casta2.jpg)
La politica che nessuno si può più permettere
Una riforma seria, che urge nel nostro Paese, è senz’altro quella che dovrà metter mano alla politica ed alle strutture pubbliche. Il Ministro Brunetta potrà piacere o meno ma una cosa su di lui va detta: non ha affatto rivoluzionato il sistema burocratizzato dell’Italia. La politica costa al cittadino una buona fetta del PIL e la struttura gerarchica, clientelare, elefantiaca e macchinosa della cosa pubblica, unita alle procedure di lavoro, strangola la libera iniziativa, la creatività del nostro settore imprenditoriale, la concorrenza. In un momento storico così difficile è impensabile credere di poter sostenere la massa di privilegi ed il costo monetario dei veri “ricchi” d’Italia ovvero degli amministratori pubblici. Quando si affronta un argomento del genere si ottiene quasi sempre, dagli addetti ai lavori, la critica di populismo e superficialità. Non si tiene conto, infatti, dei numerosi amministratori (perlopiù locali) che ricevono, per le mansioni a loro affidate, poco più che dei rimborsi spese e spesso ci rimettono del loro patrimonio personale. E’ vero. E’ assolutamente vero. Tuttavia, perdonate la mia concretezza, non è affar nostro redistribuire il reddito tra gli amministratori politici. La critica, giusta per la carità, suona un po’ come se… nel mondo del calcio si affermasse che non è vero che circolano troppi soldi perché ci sono calciatori dilettanti che non riescono a garantirsi uno stipendio pari a quello di un operaio. Come a dire che se c’è un Cristiano Ronaldo che percepisce una diaria mensile di un milione di Euro netti ve ne sono moltissimi che non riusciranno a prendere tale cifra nemmeno giocando fino all’età di pensione. Lo so che è così ma io non sono un sindacalista e quello del numero degli amministratori o dell’equità degli stipendi sono problemi interni alla categoria. Il VERO problema della politica è che il suo attuale costo è insostenibile ECONOMICAMENTE e MORALMENTE. Le fabbriche chiudono. I commercianti seguono a ruota. Gli imprenditori non sanno più che pesci pigliare e gli esperti del settore sono maledettamente in gamba nel prevedere… ciò che accadeva l’altroieri. L’economia si è contratta e gli scambi si sono rarefatti. Tutti stanno aspettando segnali positivi da parte dei mercati. Tutti, indistintamente, stanno attendendo che qualcun altro faccia la prima mossa (il che, tradotto, significa che il costo della crisi sarà pagato da poveri e operai).
L’unico luogo al mondo dove non è cambiato nulla è la politica italiana. Non c’è stata riduzione di costi, ottimizzazione dei profitti, tagli occupazionali. Nulla è cambiato. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, la crisi ha imposto ancor più all’attenzione il ruolo della politica che oggi ha più potere di quanto ne avesse ieri. E l’imposizione fiscale diminuisce sempre e solo a parole. Il disavanzo cresce per Comuni, Province e Regioni. Si dirà che è colpa degli evasori o forse della crisi. La politica italiana, quella dei 13 mila Euro di stipendio netto mensile, quella che versa tutti i mesi tra i 6 e i 9 mila Euro ai trombati delle ultime elezioni, quella che viaggia gratis in tutta Italia (e con scorta), quella del tutto è dovuto, non ha proprio nulla da farsi PERDONARE? Nel nostro Paese costa veramente più il lavoro della POLITICA? Le tasse si devono pagare. Tutte. Solo, vorremmo vedere, da cittadini contribuenti, che i nostri soldi fossero spesi per il bene di tutti e non solo per i soliti pochi e furbi.

venerdì 23 ottobre 2009

I Mutui della Mutua



I Mutui della Mutua
Mi è capitato di leggere alcune affermazioni sull’andamento dell’economia, sui tempi della crisi e sui modi con i quali uscirne da parte del Governatore della Banca d’Italia, nonchè membro del Consiglio Direttivo e del Consiglio Generale della Banca Centrale Europea, del Consiglio di Amministrazione della Banca dei Regolamenti Internazionali, del Governatore per l’Italia nella Banca Mondiale e nella Banca Asiatica di Sviluppo e, dall'aprile del 2006, Presidente del Financial Stability Forum. Debbo ammettere che la sua strenua difesa degli economisti che si vorrebbe “rinchiusi in un pogrom” non solo non mi ha convinto ma mi ha addirittura infastidito. Forse, la sua, è stata una semplice difesa di settore, di categoria, visto e considerato che il Governatore della Banca d’Italia è, a tutti gli effetti, un economista che analizza il mercato, lo indirizza, cerca di correggerne i difetti di fondo, suggerisce la politica da seguire a politici, imprenditori e cittadini qualunque. Ciononostante, ciò che mi ha più dato fastidio è stato qualcos’altro. Ha avuto il coraggio di affermare che la ricetta economica per uscire dalla crisi (tesi peraltro condivisa, guarda caso, proprio dagli economisti) è quella di adottare una stretta creditizia in modo particolare sui mutui. Pazzesco, d’ora in avanti potrebbe accadere che per l’acquisto di una casa le banche non concederanno più mutui del 100%. Nemmeno del 90. A dire il vero il prestito non coprirà la metà del prezzo dell’immobile. Dovrà attestarsi intorno al 40%. Insomma, durante i periodi di vacche grasse le aziende creditizie non sono state in grado di svolgere la funzione principale per cui sono nate e cioè “risparmiare”. Oggi che, a detta loro, le casse sono vuote si stanno impegnando a non svolgere più, pienamente e senza vincoli, il loro compito più caratteristico: “prestare denaro”. Lo ribadisco, mi ha dato fastidio leggere le dichiarazioni di Mario Draghi. E sugli economisti, così chiudo la polemica, credo occorra lo stesso metro di valutazione di qualunque manager. Se è capace di prevedere l’andamento del mercato occorre premiarlo. Se non riesce a farlo o torna a scuola o è meglio che cambi mestiere. Più che di Draghi, oggi, c’è bisogno di maghi. Io preferisco Othelma. Almeno è più coreografico.

Il fallimento dei più furbi


Il fallimento dei più furbi
A livello politico ha destato scalpore la sentenza della Corte Costituzionale di in merito al lodo “Alfano”. Esponenti di spicco della maggioranza di Governo hanno affermato che esiste un deficit di Giustizia “giusta” nel nostro Paese e che occorre una profonda e radicale modifica delle Leggi e normative vigenti in materia. Sono d’accordo. In PARTE. Innanzitutto, nella scala delle priorità, il nostro Paese ha bisogno di lavoro, oggi più che in passato. Per poter dare nuove prospettive in tal senso, è vero, si deve metter mano anche al nostro ordinamento giudiziario. Ad esempio, favorendo la certezza del diritto sul credito. Oggi tale parola fa venire in mente la Banca ed ogni attività ad essa collegata. Esiste, tuttavia, un aspetto di fondamentale importanza per la vita stessa di ogni economia. In Italia, più che in ogni altro Stato dell’Unione, la speranza di un creditore di vedersi corrisposto il proprio credito dal debitore per via legale o compromissoria è molto flebile. Occorre rivedere, a mio avviso, l’intera normativa riguardante il fallimento. La crisi economica che attanaglia, senza esclusione, tutte le nazioni del mondo è partita da una crisi del credito. L’abbondante uso della procedura fallimentare ha così punito sia le aziende sane che quelle che non lo erano. Lo stesso meccanismo del mercato che prevede continui scambi tra i suoi soggetti ha avuto un effetto devastante sull’economia. Chi ha avuto la sfortuna di trovarsi come cliente una ditta che è fallita ha perso del denaro e molte volte questa serie impressionante di passività formatesi in poco tempo ha travolto le aziende senza distinzione. L’attuale Governo, pochi anni orsono, ha modificato le normative sul fallimento facilitando il reingresso di un fallito nel ciclo produttivo. Oggi, più che mai, chiudere un’impresa e gettare sul lastrico dipendenti e fornitori è più facile. Allo stesso modo, non ci sono più i vincoli del passato per riaprire l’azienda, con qualche ritocco, il giorno seguente. Io credo, invece, che occorra rivedere la procedura fallimentare e che sia di fondamentale importanza porre un serio paletto a questo strumento facendo si, ad esempio, che il debito non si estingua con la cessazione dell’attività ma ricada sulla parentela dei titolari o dei soci. Che cosa c’entra la Giustizia, allora? Beh, è ovvio che non è concepibile che una causa per risarcimento possa durare anni. Oltre a garantire la certezza della pena occorre accelerare i tempi per giungere ad una sentenza. E su questo, Giudici ed Avvocati, possono recitare un ruolo di primo piano su una seria riforma del settore.

sabato 10 ottobre 2009

Just in bank???


Just in bank???
Che cos’è una banca? In teoria è un azienda come tutte le altre e il suo scopo principale è quello di creare un utile per i suoi soci comprando e vendendo denaro. Ma è veramente un’azienda? No. Se lo fosse sarebbe assoggettata alle regole di mercato e si comporterebbe di fronte ad un problema allo stesso modo di qualunque altra. Non può farlo, in realtà, perché il tipo di attività che svolge non glielo permette. Facciamo un esempio: in Giappone, diversi anni fa, si resero conto che un’azienda diventava più snella, competitiva ed efficiente se adottava un metodo di lavoro che fu denominato “just in time”. Esso prevedeva un drastico abbattimento delle spese di stoccaggio e ne ridisegnava finalità e contenuti. Ogni singolo settore di produzione, ad esempio di una catena di montaggio, lavorava in perfetta simbiosi con quello che lo precedeva e quello che lo seguiva. I costi di attesa che derivavano da un guasto macchina (ad esempio) erano nettamente inferiori a quelli per immagazzinare e conservare a lungo un bene. Le aziende giapponesi producevano “giusto in tempo” ciò che serviva ai propri clienti senza assumersi i costi relativi alla prima scommessa imprenditoriale: quanti saranno i miei clienti, cosa vorranno da me e quando. Ora, voi capite che una banca non può permettersi di lavorare “giusto in tempo” né può permettersi di “scommettere”come farebbe qualunque altro tipo di imprenditore. Per questo motivo il prodotto che la banca commercializza, il denaro, si troverà nei caveau, nelle casseforti, “immagazzinato e stoccato” più di qualsiasi altra merce senza che chi ne ha veramente bisogno possa avere la remota speranza di usarlo. Io sostengo che le aziende del credito (che aziende non sono) non possono far parte della Borsa e valutate come imprese commerciali esattamente come non lo sono gli Stati nazionali. Credo occorra rivedere una bella fetta del nostro sistema economico (mondiale) per migliorare la sua (e nostra) salute.

venerdì 2 ottobre 2009

Caro Presidente Berlusconi

Caro Presidente Berlusconi

Ebbene si. Sono un inguaribile tifoso del Milan. Di questi tempi non è cosa di cui ci si può sportivamente vantare dati i risultati ottenuti con, e senza, la musichetta di Champions. Ma il Milan è più di una società di calcio. E’ quasi un modello di vita. Le due squadre milanesi sono nate a due lustri di distanza a cavallo del ‘900. Il Milan nacque per primo. L’altra squadra milanese ebbe i suoi natali più tardi. Venne formata da parte dei soci del Milan che non condividevano la scelta della società di quei tempi. Il pomo della discordia era il tesseramento di atleti stranieri. I soci “transfughi” dal Milan battezzarono la nuova entità col nome di Internazionale, per sottolinearne la caratteristica peculiare. Nel corso degli anni le due squadre mantennero fede a queste prerogative e pertanto il Milan era nazionalista e tecnico, la sua antagonista invece più esterofila e atletica. Eccezion fatta per Berlusconi, il Milan ha avuto nella sua storia presidenti più parsimoniosi, l’Inter un po’ più “passionali”. Oggi la mia squadra del cuore sta vivendo un periodo di grossa crisi addirittura peggiore di quella economica che stanno vivendo i mercati finanziari mondiali. Il Presidente Berlusconi non può o non vuole più drogare il bilancio della società facendo fronte direttamente alle perdite d’esercizio e, in accordo con l’Amministratore Delegato Adriano Galliani, ha inaugurato una politica di risparmio che io reputo intelligente, anche se tardiva. Tuttavia, vendere i gioielli di famiglia per fare cassa, affidare la gestione della squadra orfana del suo capitano ad un giovanotto di belle speranze ma privo di esperienza sul campo e una campagna acquisti e cessioni fatta senza un briciolo di competenza calcistica mi sembra un pessimo modo di andarsene via. Passi la cessione dei calciatori migliori, passi anche l’esperimento di far sedere in panchina l’ex responsabile del mercato sudamericano, quello che proprio non ho capito e l’intelligenza si ostina a non spiegarmi è come si può pensare che i problemi del Milan fino allo scorso anno possano essere diventati i punti di forza di questo. Ronaldinho non è riuscito a convincere di essere ancora un atleta, Seedorf è il giocatore più criticato dalla tifoseria, Dida ha uno stipendio di 4 milioni di euro l’anno ed è stato inserito nella lista Champions, Oddo è un calciatore che da almeno due anni non riesce a trovare la serenità necessaria per esprimere il suo valore, Tassotti è il viceallenatore nonché allenatore di una difesa che prende gol da palla inattiva con la stessa facilità con cui il deficit italiano continua a crescere, Inzaghi è il miglior centravanti che ci siamo potuti permettere nelle ultime sciagurate stagioni ma anche il motivo per cui l’unico talento vero che avevamo in squadra dopo Kakà (Paloschi) è stato rifilato al Parma e chissà se potremo mai riprendercelo, Pato ha fatto abbondantemente capire di essere il più bravo del carrozzone e non vuole più rimanere in una società che affonda (chissà quanti altri calciatori brasiliani gli stanno insegnando come ci si deve comportare a Milano per farsi cedere). Ma naturalmente tutto sta andando bene e si tratta solo di un momento sfortunato, i pali e le traverse, le azioni da gol mancate. Il gioco, tuttavia, non c’è. I risultati nemmeno. La sfortuna è un’altra cosa. La squadra che amo e che ha un posto di riguardo nel mio cuore ha uno stile diverso. Non impreca contro i fantasmi e sa prendere le decisioni importanti con la lungimiranza del buon Nostromo. Non naviga a vista nel buio più profondo.

martedì 29 settembre 2009

Con...dono, con...danno.


Mi da da pensare il recente condono tributario studiato dal nostro superministro delle Finanze, Giulio Tremonti. L’obbiettivo dichiarato è quello di veder tornare in Italia quei capitali illecitamente “distratti” all’estero. L’iniziativa può sembrare lodevole sotto certi punti di vista (ad esempio quello della maggioranza di Governo), criticabile sotto altri (magari dall’opposizione). Si è detto che poco è meglio di niente e che chi ha sempre pagato le tasse si sentirà giustamente defraudato. Quello che ancora non ho letto o ascoltato da nessuno è perché. Mi spiego meglio…perché un qualunque cittadino italiano (o straniero ma che ha accumulato capitali nel nostro Paese) dovrebbe decidere di riportare del denaro in Italia? Siamo agli ultimi posti tra gli Stati industrializzati per quanto riguarda la qualità della vita, degli ospedali, delle scuole, del lavoro, dell’ambiente, delle costruzioni edilizie, del commercio e della libertà di commercio, del senso civico e della tolleranza razziale, religiosa e sportiva. Abbiamo dei primati ma sono tra i più tristi e degradanti che una società civile possa permettersi di vantare. Dunque, perché qualcuno dovrebbe desiderare di restituire del denaro rubato in Italia? Non per paura, né per calcolo o beneficenza. Forse per pietà. Si. Ecco a chi si rivolge il nostro Ministro. A tutti coloro che sono mossi a compassione per questo Paese che dovrebbe essere grande ma che da sempre sperpera assai più di quanto è in grado di guadagnare. Prosit.

mercoledì 16 settembre 2009

Banchieri e contadini.




Banchieri e contadini.
A seguito della crisi economica mondiale ed allo scopo di scongiurare una catena di possibili fallimenti delle banche, l’attuale governo italiano ha varato misure straordinarie in tema creditizio. Quella più rilevante riguarda il raddoppio della quota “di garanzia” di deposito presso la banca d’Italia. Che cosa significa in parole povere? Lo Stato aumenta la quota di risparmio che una banca deve tenere a garanzia dell’esistenza stessa dell’istituto di credito. Tale iniziativa è stata lodevole e determinata dall’urgenza di fronteggiare una crisi senza precedenti. Lo spettro del crollo delle borse, in modo assai simile a quello del 1929, ha costretto i politici ad adottare misure straordinarie e coercitive. Tutto bene, dunque. Peccato che dimostri, ancora una volta, la follia a cui è giunto il sistema capitalistico odierno. La logica di mercato, e non, suggerisce esattamente l’opposto. Quand’è che è più facile risparmiare soldi? Nei periodi di vacche grasse, quando c’è lavoro, l’economia cresce, gli stipendi sono più alti. Ebbene, in tale momento della loro storia, le banche mondiali non hanno “risparmiato”, concedevano mutui al 100% e prestavano ed usavano soldi con la lungimiranza di un lombrico. Quand’è che, invece, è più difficile risparmiare soldi? Nei periodi di vacche magre, quando il lavoro è da trovare con il lanternino, l’economia ristagna o è in forte recesso, gli stipendi sono a livelli di sussistenza. Ebbene, proprio in quel momento le banche riducono la percentuale di mutuo disponibile per l’acquisto di una casa, le somme e l’entità dei prestiti concessi alle imprese e via discorrendo. Insomma, gli amministratori delegati degli istituti di credito continuano a non prendere esempio dai nostri contadini che con l’arrivo della bella stagione mettono da parte fieno nei fienili per prepararsi alla brutta stagione. E il nostro governo proprio in questo momento di crisi (che equivale al giorno più freddo dell’inverno) chiede loro di raddoppiare i depositi di garanzia. Non solo, ma si fa garante della solvibilità delle aziende creditizie ponendovi il sigillo statale. Nel caso in cui una banca dovesse trovarsi in insanabile difficoltà e non possa tener fede ai propri impegni lo Stato interverrà in modo diretto coprendo l’eventuale disavanzo. Indovinate un po’ chi ne farà le spese? Voglio fare il facile profeta: i cittadini che pagano le tasse, i correntisti, chi avrà bisogno di acquistare una casa accendendo un mutuo o le imprese che chiederanno un prestito o che lo avevano già avuto. Vale a dire i soliti noti. E chi non pagherà per i propri errori? Gli amministratori delegati che hanno diretto l’economia nazionale e mondiale e gli azionisti che li hanno nominati. Anche qui si tratta dei soliti nomi. Alleluia…

martedì 8 settembre 2009

Evviva gli sposi...


Pier Giorgio Tomatis e GabriellaGumina
annunciano il loro matrimonio
che sarà celebrato al
Santuario del Sacro Cuore
Via Sommellier n.42
Pinerolo
Il 4 ottobre 2009 - ORE 10, 30
….dopo la cerimonia
Pier Giorgio e Gabriella
saranno lieti di festeggiare
offrendo un aperitivo agli amici
nel cortile del Santuario

domenica 23 agosto 2009

Rivoluzione costituzionale.


Rivoluzione costituzionale.
C’è una forte crisi economica a livello mondiale. Il peso di guerre… anzi, scusate, di operazioni di polizia, di aumento indiscriminato del prezzo del greggio, di disparità di trattamento salariale tra gli Stati nazionali, sta corrodendo e corrompendo la società occidentale così come era stata concepita. Ricordate il primo capitolo della nostra Costituzione? Il nostro è uno Stato fondato sul lavoro. Come si può pensare che vi sia un senso etico, civile, sociale, tra questo concetto e la costante perdita occupazionale e reddituale delle famiglie italiane? Non può. Fa soltanto parte della grande menzogna globale nella quale siamo immersi ogni giorno della nostra vita. La società civile che i padri fondatori della nostra nazione avevano idealizzato non esiste più. E’ morta. Annegata nei vizi e nei capricci di capitalisti che smettono di fare all’amore perché il marito miliardario vorrebbe acquistare uno yacht anziché un transatlantico, di corporation che con le loro industrie uccidono il pianeta con emissioni gassose e radioattive, veleni liquidi e polveri chimiche. In fondo a questi esempi c’è la grande massa di gente comune che non riesce ad arrivare alla fine del mese e si indebita sempre di più con società di malaffare o banche troppo scaltre perché venga loro permesso di continuare ad esistere. Non credevo, da liberista, che un giorno sarei arrivato a sostenere l’esigenza di una rivoluzione ma è così. Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale. Il capitalismo imperante, che ha ucciso il ricordo delle nostre radici ed il senso della civiltà, va abbattuto con una spallata poderosa. Un popolo darà l’esempio per tutti e con un effetto domino ad esso ne seguiranno altri. Non saranno gli italiani a ribellarsi. La nostra storia ci insegna che siamo più bravi ad adattarci alle condizioni in cui ci troviamo. E’ per questo motivo che non siamo simpatici ai francesi e per cui auspico che facciano loro il primo passo. Liberté, égalité, fraternité. Ecco ciò di cui abbiamo bisogno anche se non tutti se ne sono ancora accorti.

giovedì 20 agosto 2009

CENTO PREGHIERE


Sembrava una di quelle tranquille notti di inizio autunno con l'aria fresca che ti sfiorava la pelle e ti entrava nei polmoni riempiendoti di gioia di vivere. Nel cielo scuro le stelle parevano tanti piccoli fuochi che si accendevano e si spegnevano a seconda della intensità con cui i miei occhi cercavano di fissarle. Le case attorno a me erano molto vecchie e la luce dei lampioni le illuminava implacabilmente, quasi volesse sottolinearlo. E la luna era assente. La Luna, musa ispiratrice di poeti innamorati, mi rendo conto che può sembrare sciocco ma ogni qualvolta la osservo e mi lascio inebriare dai suoi fiocchi raggi, così vivi, eppure insufficienti ad illuminare il globo, mi sento rinascere. La sua vista mi lenisce qualsiasi dolore, mi fa sognare. Ogni volta che splende piena, alta nel cielo mi affaccio alla finestra e cancello in un istante tutti i miei problemi. Sembrava una di quelle tranquille notti di autunno. Ma non era così. Chiusi la finestra dopo circa un'ora di meditazioni profonde. E' curioso, quando mi capita di osservare delle autentiche meraviglie del creato come una cascata, un'impervia montagna, il sole, la luna, gli effetti di un vento impetuoso o chessò altro forse non mi viene da pensare da chi o da che cosa tutto ciò ha avuto origine quanto invece il mio posto in esso. Sono sicuro che, in fondo, tutti noi si è alla ricerca di qualche cosa anche se non sempre sappiamo esattamente dove cercare. E più si cerca di capire, più ci si sforza di trovare, più ci si ostina a lottare e più una soluzione ci appare lontana. Cosa ci faccio qui? Quale posto occupo nell'imperscrutabile stato delle cose? Se fossi una montagna sarebbe tutto più facile, avrei maggior coscienza sul disegno cosmico. Conoscerei esattamente il mio destino, il mio posto in tutto questo. Ma sono un uomo e non sono legato ad un solo luogo della terra e la mia mente si pone costantemente interrogativi ai quali non so dare, molto spesso, delle risposte. Credo di possedere, con gli occhi, una grande maledizione. La vista mi da l'opportunità di percepire i sincronismi del complicato meccanismo della vita sulla terra. Ma non sanno portarmi oltre. Non sanno mostrarmi il mio ruolo. A volte mi capita di odiare intensamente i miei occhi capaci di vedere perfettamente solo il buio e le mie gambe capaci di portarmi nel dappertutto di nessun posto. E tutto quello che faccio dove mi conduce? Alle porte del ventunesimo secolo la razza umana si vanta di aver formato vere e proprie civiltà, di vivere più a lungo e di avere creato le città. Queste ultime occupano un'enorme spazio e forniscono un solido, molto spesso, inutile riparo da eventi che non può in nessun modo fermare. Come sosteneva qualcuno, però, una città è fatta soprattutto di mura, cioè di qualcosa, un ostacolo, che impedisce l'ingresso o l'uscita a qualcos'altro. Non è questo che ci serve. Non è questo che mi serve. Cercare di non pensarci non è la soluzione migliore. Ecco, sapevo che sarei arrivato a tutto ciò. Sono diventato matto. Mi ritrovo terribilmente impacciato, insicuro. Non capisco più nulla, nessuno. Nella sala, l'attesa si faceva sempre più insostenibile. Eppure ero stato io a scegliere tutto questo. Forse per vigliaccheria, per il peso delle responsabilità o chessò altro. Avessi fede in qualche cosa potrei mettermi a pregare ma non ci riuscirei. Per tutta la mia vita ho cercato di rendermi invulnerabile. Una ricetta che mi facesse sopravvivere al mio tempo. E l'ho trovata. Ma non sono ancora soddisfatto di me stesso. Mi manca la passione, il respiro dell'esistenza. Non sono mai riuscito ad avere bisogno degli altri. Solo oggi che ho un tremendo bisogno d'aiuto, mi sento vulnerabile come la più minuscola ed indifesa delle creature della terra e la cosa mi sconvolge e confonde al tempo stesso, mi rendo conto di quanto sia sbagliato questo mio atteggiamento. Anche se ciò fa pugni con tutta una parte della mia vita. Ma per la prima volta non mi importa nulla di me stesso, di ciò che sono, di ciò che ho. Persino l'attesa, sottile tortura psicologica, diventa più dolce del miele. Mi senti mondo! Oggi porgo il fianco alla vita. Non ho più paura delle tue stoccate. Non mi preoccuperò per il dolore, anzi lo voglio assaporare tutto per intero. Perché anche il dolore è frutto della passione e frenetico respiro dell'esistenza. Un rumore proveniente dal corridoio mi riporta alla realtà. Una porta si apre. Una donna approssimativamente dell'età di 50 anni mi invita a seguirla. Spegnerei volentieri una cicca di sigarette in terra. Ma non fumo. Ringrazierei Dio con una,cento preghiere. Ma non credo. Tirerei un sospiro di sollievo. Ma ho i polmoni letteralmente bloccati. Forse correrei se non avessi le gambe legate al suolo da robuste ed invisibili catene. Eppure, in qualche modo, riesco a divincolarmi. La donna mi precede spedita ed io non le sono da meno. Non so bene da dove arrivi tutta questa calma, questa serenità che pervade la mia anima in questo momento ma quando si apre davanti a me anche l'ultima porta e vedo la donna della mia vita sdraiata su di un letto, provata, eppure ancora così forte, e con accanto una creatura che per orgoglio ed egoismo definisco "mia", forse incomincio a capire. Mi precipito al capezzale del letto di mia moglie, più bella che mai, ed ella mi sorride soddisfatta e con un cenno del capo mi mostra il frutto più bello dell'albero della nostra unione. Poco tempo prima mia moglie mi aveva raccolto come si raccoglie un tenero cucciolo di uccellino cascato dal nido per ricongiungerlo ai suoi genitori. E tra un frusciare di ali e cinguettii stavo incominciando a capire. Sì finalmente ho capito. L'orgoglio e l'egoismo scompaiono lasciando il posto alla consapevolezza. E' bastato guardare negli occhi di mia moglie più profondamente del solito per capire che Egli esiste. Ma non ho più tempo per i pensieri sterili ed inconcludenti. Ho una famiglia “numerosa” che mi aspetta e cento preghiere con cui ringraziare un Amico.

domenica 2 agosto 2009

Tanto è così dappertutto.


Nonostante ciò che ho imparato a scuola ho recentemente scoperto che un assegno circolare emesso da una banca in favore di un proprio correntista impiega 5 giorni ad essere monetizzato nel suo conto. Gli assegni normali, a debito, vengono immediatamente pagati a qualunque sconosciuto si presenta allo sportello. L’obiettivo di questo stranissimo comportamento sta nel fatto che l’obiettivo di una banca è quello di vendere soldi e quindi trova vantaggioso mettere i propri correntisti in una situazione debitoria. In fin dei conti si tratta di un altro modo di fare dei prestiti ribaltando il rapporto con il titolare del conto. Non solo le banche pagano ai correntisti un interesse molto più basso delle commissioni e delle spese che servono per il mantenimento dello stesso ma addirittura cercano di costringere i propri clienti a prendere in prestito del denaro di cui non hanno bisogno. Disgustato per la scorrettezza dimostrata dalla mia banca ho deciso di rivolgermi ad un concorrente e gli amici e gli operatori del settore, quasi fossero stati un esperto coro di voci bianche, mi hanno consigliato di lasciar perdere perché “tanto è così dappertutto”.
La città dove risiedo non è certo famosa per tornado, trombe d’aria, uragani, eppure mi capita spesso che basta la presenza di una nuvola in cielo perché venga interrotto il servizio telefonico di un importante gestore nazionale. Secondo contratto (stipulato telefonicamente e quindi…) i tecnici hanno un massimo di 4 giorni lavorativi per risolvere il mio problema. Non avendo stipulato un contratto Business (in questo caso, almeno a parole, si garantisce una maggiore rapidità) rimango senza possibilità di collegamento alla rete, senza possibilità di effettuare o ricevere telefonate, di vedere i canali televisivi che necessitano di decoder per diversi giorni. Il limite massimo, ovviamente, diventa la prassi e non un evento straordinario. Seccato per la scorrettezza della società che pago perché mi fornisca il servizio di cui ho bisogno ho paventato l’ipotesi di cambiare gestore. Ancora una volta il coretto vox populi è stato lo stesso: “lascia perdere perché tanto è così dappertutto”.
Ho vinto una causa civile ed ho diritto ad un risarcimento danni ma la ditta soccombente non paga e nella mia stessa situazione ci sono tantissimi altri connazionali. Il titolare della società in questione è la massima figura istituzionale del CNA regionale. Quest’uomo perora la causa di tante ditte artigiane che in questa crisi rischiano di scomparire perché le banche non agevolano sufficientemente il credito. La banca che ha la maggiore esposizione nei suoi confronti è “la mia banca”. Si potrebbe tranquillamente affermare che, con il mio lavoro, sto prestando soldi a chi non me li restituirà mai. Quando ne parlo con qualcuno mi sento ripetere la solita solfa: “lascia perdere perché tanto è così dappertutto”.
Leggo il giornale e il mio umore non migliora. Gli articoli che scorrono davanti ai miei occhi mi mostrano una società scorretta, ipocrita e castista. Arrivo fino all’ultima pagina e mi accorgo che manca un’articolo. Mi riguarda. E’ quello in cui decido di non pagare le tasse e decido di smetterla di comportarmi con senso di responsabilità, con correttezza, onestà e civiltà. Il motivo? “Tanto è così dappertutto”.

martedì 28 luglio 2009

O la Borsa o la vita.


Il commercio odierno, quello della globalizzazione, quello della crisi, sta vivendo una lunga pausa di riflessione. La politica, molto spesso ignorata e corrotta dalle corporation, sta cercando di ricuperare quella posizione di controllo che le compete. Tuttavia, gli imprenditori sono restìi a cedere il passo ad un organo che possa limitare le libertà che sino ad oggi si sono concessi, gli studiosi non trovano il bandolo di una matassa perché troppo aggrovigliata ed incapace di sciogliere i nodi più difficili con i vecchi "storici" modi. Occorre qualcosa di nuovo. Occorre ripensare ad una nuova economia affidandola, finalmente, alle regole di mercato (vecchie e storiche). Un grosso problema al progresso ed alla evoluzione dei mercati è l'ostacolo delle relazioni trimestrali. Ogni trimestre, gli Amministratori Delegati delle imprese si rivolgono agli azionisti mostrando l'andamento dell'azienda. Questo modello di comportamento ha comportato una esasperata ricerca dell'utile, dell'accumulazione di capitale "sporco, maledetto e subito". Credo occorra ripensare a questo modello dando alle imprese un lasso di tempo economicamente più consono per vedere concretizzarsi delle scelte finanziarie. Ciò sarà possibile, ad esempio, se le Borse mondiali "lavoreranno" un solo giorno la settimana in luogo dei 5 attuali. Se si realizzerà questo progetto, gli azionisti avranno tempi più lunghi per valutare l'operato dei propri dipendenti e l'andamento economico dell'azienda. Verranno premiate quelle scelte che in un periodo più lungo daranno dei benefici. Il licenziamento dei dipendenti, lo smantellamento di alcune filiali, la esternalizzazione di diverse produzioni, ecc. impoveriscono un'impresa e i tempi lunghi possono dimostrarlo. Occorre solo "allentare i cordoni delle Borse". Facciamolo. E in fretta.

mercoledì 22 luglio 2009

Il buco nero dell'economia


La recente crisi economica mi sembra sovverta ogni regola di buon senso. Se esiste un problema di tipo finanziario, determinato sulla base di una mancanza di liquidità da parte degli istituti di credito degli Stati Uniti, non capisco come possa essere risolto diminuendo la domanda di prodotti. Purtroppo, è ciò che sta avvenendo davanti ai nostri occhi. Le aziende di varia grandezza, in tutte le regioni del mondo, stanno combattendo gli effetti della crisi facendo ricorso alla cassa integrazione o al licenziamento dei dipendenti. Ora o io non capisco un'acca di economia, e questo lo posso anche concedere, oppure qualcuno sta ciurlando nel manico. Come si può combattere una crisi che non è nata come mancanza di domanda diminuendo i soggetti in grado di sostenerla? Perché le aziende continuano a non ridurre i prezzi delle merci (per far ripartire questa benedetta economia) e si prodigano invece per lasciare senza lavoro milioni di persone? Perché? A chi giova creare disagio e diminuzione della domanda? Il meccanismo, in verità, è assai semplice e l'Italia è un esempio (negativo) in tal senso. Quando le nostre aziende erano in crisi in tempi precedenti all'Unione Europea i nostri statisti svalutavano la moneta. In questo modo, di fatto, il prezzo di un prodotto scendeva anche quando aumentava. Questo perché il valore della nostra moneta era cambiato e per acquistare della merce italiana occorrevano meno dollari che in precedenza. Che cosa sta succedendo, oggi, con una crisi di mercato? Le aziende mantengono alti i prezzi dei prodotti, i magazzini sono pieni di merci invendute e i dipendenti sono forzatamente in ferie, in cassa integrazione o cercano di sbarcare il lunario inventandosi nuove forme di occupazione. Un risultato concreto questa crisi, fino a quando non finirà, è già riuscito ad ottenerlo: ci sta mostrando l'impreparazione e l'improvvisazione alla base dei politici, degli economisti e degli imprenditori di questo mercato oligopolista mondiale.

lunedì 13 luglio 2009

ZU’ TURIDDU


Lo chiamavano “ U ZU’ TURIDDU “, ma il suo nome era Salvatore Eoliano. Salvatore è un nome molto diffuso nella marineria siciliana. Viene imposto dai genitori quasi per accompagnare il neonato sino dal Battesimo, con un augurio di salvezza, sapendo, già da subito, che quel bambino, nuovo nato di generazioni di pescatori, trascorrerà la sua vita sul mare.
Il mare, si sa, è amico ma può essere anche nemico, terribile nemico, animato spesso da venti impetuosi ed impietosi.
Salvatore era stato sempre per mare, ma ora che era incanutito e la sua pelle era riarsa dal sole e dal sale, privo ormai della forza di spingere i remi od anche soltanto di reggere la barra del timone, trascorreva le sue giornate a terra. Brevi scambi di parole con i coetanei, lo sguardo vagante da un’isola all’altra o intento a seguire il lento volo dei gabbiani perso fino all’orizzonte, oltre l’orizzonte.
Conosceva alla perfezione gli umori del cielo, sereno o minaccioso sopra le nuvole; conosceva l’agire dei venti a seconda della direzione da cui soffiavano; conosceva il mare nel suo variare dei colori, dal blu notte all’azzurro e al verde più improbabile; per questo, dall’alto della sua vasta esperienza di pescatore ottantenne, era prodigo di consigli ai giovani che si avventuravano in mare e che lo ascoltavano con deferenza. Ricordava il tempo in cui era stato giovane e in paese lo chiamavano Turiddu, ma ora, da vecchio, era diventato “u zu’ Turiddu”, dove quel “zu’” sta per “zio”, in segno di rispetto e di affetto .
Di cognome si chiamava Eoliano. Una parola che comprende tutto: terra mare e cielo; perché “ eoliano “, come aggettivo, significa esser nativo delle isole Eolie . La sua cara terra, le isole Eolie, così chiamate in memoria di Eolo, il dio dei venti, figlio del dio del mare Poseidone.
Le isole Eolie, le “sette sorelle”, le “sette perle”, come amano chiamarle gli stessi eoliani, sono parte di un mondo cristallizzato nel tempo, che affonda le radici in un passato remotissimo, nel mito, e pur tuttavia protende le braccia verso il futuro .
Zu’ Turiddu, metafora di tale passato e di tale futuro, d’estate veniva circondato, sulla spiaggia di bianca pomice, dai tanti turisti in vacanza che in lui vedevano il saggio, il mito. Il simpatico sapiente pescatore, seduto su uno sgabello di legno a tre piedi, riparava le reti da pesca e con piacere raccontava le storie di quelle terre. Soprattutto era amato dai bambini, quelli dell’ isola e quelli che d’estate arrivavano per le vacanze; era per loro il “ cuntastorie ”, erede degli aedi greci e dei menestrelli provenzali.
Nelle lunghe notti di pesca, alla luce della lampara, zu Turiddu aveva avuto come graditi compagni i libri della biblioteca del paese. Aveva letto quanto più poteva sulla sua amata terra ed ora poteva raccontare, affascinando il suo uditorio, quanto lui stesso aveva vissuto e cosa altri avessero scritto della Sicilia e delle isole Eolie in particolare.
La sua maniera di raccontare conteneva gli echi della cultura greca, della parlata levantina dei bizantini, della luce fantasiosa dei musulmani: era, insomma, la sedimentazione storica della cultura siciliana.
“ Lo sapete che anche Omero nell’ Odissea ha parlato di queste isole? Ha scritto che Poseidone, il re del mare che i latini chiamavano Nettuno, aveva qui la sua reggia di nuvole e teneva la sua corte di zèfiri e raffiche e bufere”.
E così iniziava i suoi racconti e narrava delle sette stupende isole che fronteggiano Capo d’ Orlando, sulla costa della Sicilia principiando proprio dalla greca Agatyrso, cittadina che ebbe poi nome da Carlo Magno in onore del suo paladino più amato, Orlando.
Goethe reduce dal suo viaggio in Italia , aveva scritto che “ l’Italia senza la Sicilia sarebbe stata poca cosa”: Zu Turiddu soleva ripetere che la Sicilia senza le sette perle delle Eolie sarebbe stata una regina senza corona .
Zu Turiddu amava parlare di Stromboli, spiegando alla gente che in greco Strongyla vuol dire trottola e che questo nome era stato dato all’isoletta per via del suo continuo sussultare vulcanico, e venuto buio soleva slegare la sua barca per accompagnare al largo i turisti perché potessero assistere dal mare al meraviglioso spettacolo della “Sciara del Fuoco”. Quando, nel buio del cielo notturno lo Stromboli eruttando lava e lapilli protende le sue braccia di rosseggianti lave nel mare ribollente e mai gli spettatori ne rimanevano delusi.
Citava che Alessandro Dumas scrisse di Stromboli, assistendo ad una eruzione :
“questa notte è una delle più curiose che abbia passato nella mia vita …..
non potevo staccarmi da quel terribile e magnifico spettacolo .
Zu Turiddu descriveva poi Alicudi, la greca Erycusa, ricca di strane sculture inventate dalla lava nel tuffarsi nel mare,“ i perciati ed i fili “ ovvero scogli che paiono ponti e colonne, ed insegnava che Filicudi, Phoenicusa, come dice il suo stesso nome è ricca di felci.
Le piccole folle sulla spiaggia sembravano non stancarsi mai di ascoltare il vecchio pescatore che di ogni parte della sua terra conosceva la geografia, la storia ed il mito.
Diceva ancora di Panarea, che un tempo si chiamava Euonimos e quindi Panarion, che vuol dire distrutta, a ricordo di uno spaventoso sisma che della grande isola fece un corteo di isolotti e scogli. E di Lipari, così chiamata dal re argolide Liparo, che vi aveva fondato una città prima ancora che il suo conterraneo re Ilo fondasse Troia.
E parlando di Lipari, con orgoglio, vantava che è l’isola patria del vino Malvasia, fatto con uve liquorose di succo assorbito dalle radici nelle lave. Di questo buon vino Guy de Maupassant scrisse :
“sembra sciroppo di zolfo . E’ proprio il vino dei vulcani , denso , zuccherato , dorato e con un tale sapore di zolfo che vi rimane al palato fino a sera : il vino del diavolo “ .
A questo punto dei suoi racconti, spesso, si versava un bicchiere, riposando un momento e sospirando e dopo averlo gustato, con calma, schioccava la lingua e continuava il suo racconto.
Di Salina descriveva i sei vulcani, parlava delle genti d’origine africana che la abitarono cinque millenni addietro, dei pirati che ne fecero una loro base nel medioevo, del fascismo che la aveva eretta a luogo di confino per gli oppositori del regime. Narrava, al suo attento uditorio, dell’isola di Vulcano, scoglio lanciato nel Mediterraneo dall’immane esplosione vulcanica dell’isola greca di Santorino in epoche mitiche. Rammentava le continue emissioni di fumi lavici, le putizze che mentre cammini sulla spiaggia ti soffiano sotto i piedi e se non hai le scarpe ti bruciano la pelle e che fanno ribollire l’acqua del mare, l’odore acre di zolfo che impregna tutto l’isolotto. Zu Turiddu non tralasciava di citare, infine, Strombolicchio, l’isolotto filiazione della maggiore Stromboli.
Quando si trattava delle “sue” isole non dimenticava nulla, nonostante la memoria, come amava dire, non fosse più “sua amica”.
Nel parlare mescolava i dati storici e tutto ciò che aveva letto, ai suoi ricordi di vita vissuta ed affascinava grandi e bambini raccontando loro di sue avventure accadute realmente o fantasticate o metà e metà.
Con enfasi raccontava di quando nella sua piccola rete per pesce azzurro era incappato nientemeno che un pescecane che aveva mangiato il pesce appena pescato, aveva lacerato la rete e per poco non era riuscito a rovesciare la sua barca. Narrava di quando un fortunale improvviso e imprevisto lo aveva strappato ai remi e lo aveva gettato in mare, dove era sprofondato fino a un pilastro della Sicilia, sorretta da quel Colapesce, mitico mezzo uomo e mezzo pesce, che si era tuffato per ripescare un anello lanciato in mare dalla regina. Ed ancora parlava di quelle Sirene il cui canto lo distraeva dalla pesca e dalla rotta, sicchè gli toccava poi ritornare a terra dopo essere stato al largo tutta la notte, a reti vuote .
Riversava, nelle menti degli attenti ascoltatori, l’immagine di un polpo, un enorme polpo, che in una notte di luna nuova si era innamorato della lampara accesa a poppa della sua barca, l’aveva abbracciata, strappata al legno, avviluppata nei suoi tentacoli, trascinata sul fondo del mare. Diceva che là, in quel tratto di mare, ancora adesso nei noviluni sembra diffondersi come un chiarore di lampara dal fondo, mentre salgono alla superficie miriadi di bollicine. Era il suo modo di descrivere altrimenti delle chiare manifestazioni di vulcanesimo sottomarino.
A volte raccontava di quando le due spiagge di Salina, Cala Bianca di pomice e Cala Nera di lava, divennero rosse, perchè dal mare era salita una strana marea che fuggiva dall’acqua surriscaldata da rivoli di lava incandescente, si trattava di un esercito di gamberi e di paguri, affluiti a migliaia, marciando compatti. Ogni paguro portava nelle chele due perle e le ragazze dell’isola, liete dell’inatteso dono, se ne fecero collane .
Quando l’estate volgeva al termine ed il mare aveva toni di verde cupo e di grigio, con piccole onde coronate di creste di bianca schiuma, i villeggianti ritornavano alle loro città portando nel cuore e negli occhi le immagini dolci e inenarrabili di quelle spiagge, di quel mare; i bambini dell’isola riprendevano a frequentare la scuola …. e Zu Turiddu rimaneva solo, sul piccolo molo del porticciolo.
Ed un giorno, un giorno qualunque di quell’ autunno, venne il tramonto, venne la sera, era una notte di luna piena. Zù Turiddu, immerso nella sua solitudine, piena di confusi ricordi e di inespressi desideri , avvertì più forte che mai il richiamo del mare, la musica dello sciabordio delle onde e lo squittire dei gabbiani: le voci di quel mare che per tutta la vita era stato il suo mondo .
Salì sulla sua barchetta, accese a prua la lampara, sciolse l’ormeggio, spiegò una piccola vela latina, sedette a poppa impugnando come uno scettro la barra del timone .
La brezza di terra entrò nella vela, sospinse la barca al largo ; lui non si volse mai a guardare indietro le luci del paese che si affievolivano nella nebbiolina, né il brillare intermittente dei fari che suggerivano le rotte: guardava solo avanti, la luce degli occhi spersa lontano …. lontano ……
Era ormai notte: il vento tacque, la vela cadde, la lampara si spense ….

I pescatori delle isole Eolie, per indicare il punto
dell’ orizzonte dove mare e cielo si confondono
sotto lo splendore della stella polare, non dicono
parole come settentrione o tramontana, sussurrano:

“unne si perse u Zù Turiddu” *
• dove si perse lo zio Turiddu

“ I CONFINI DELL ’ ANIMA NON LI POTRAI
MAI TROVARE , PER QUANTO TU PERCORRA
LE SUE VIE, COSI’ PROFONDO E’ IL SUO LOGOS .”
(Aristotile)

martedì 7 luglio 2009

CRA CRA – KAKATOA


Era un bel corvo nero, tutto nero lucido salvo il becco e le zampe colorate di un bel giallo scuro; gli amici uccelli lo chiamavano Cra-Cra, per via di quel suo verso inconfondibile, con il quale accompagnava le lunghe planate tra i rami dei pini, sino a sfiorare le terrazze delle case vicine.
Cra Cra conduceva un’esistenza libera, angustiata solo dalla difficoltà di procacciarsi il cibo quotidiano: buona parte del giorno la trascorreva nella ricerca e nella caccia di bruchi, moscerini ed altri insetti, attività fisiche che lo stancavano alquanto, poiché sentiva di essere uno spirito contemplativo piuttosto che pratico.
Aveva un gran desiderio di comunicare: con gli altri uccelli, con gli alberi e i fiori, con qualunque creatura incontrasse ma si bloccava inesorabilmente davanti a quel suo monotono cra-cra. Un giorno scoprì una finestra, e dietro quella finestra una ragazza. “Ah! potessi instaurare un dialogo!”
Ma non potè far altro che …. cra-cra….. crrraaa-crrraaa ..…
La ragazza udì quel suono, che più che un suono le parse uno sgradevole rumore, si voltò verso la finestra e attraverso i vetri lo vide. Più che vederlo, scorse una piccola massa nera, che agitava appena le ali ripetendo : crrraaa - crrraaa . Ed immediata fu la sua reazione: “ Brutto mostriciattolo così nero e sgradevolmente gracchiante, tu mi porti jella ! “. E per scacciarlo gli lanciò una pantofola. Che infranse il vetro.
Cra Cra riuscì appena a sottrarsi a quella cascata di schegge e volò a nascondersi tra il fogliame del suo albero preferito; non aveva rifugio in un suo nido; in verità non aveva un nido perché non aveva una compagna di voli; anzi, in verità, non aveva mai sentito il desiderio di averne una e quindi non ne soffriva la mancanza .
Con un sommesso cra-cra ripensò alla ragazza dietro la finestra: certo sarebbe stata una bella e buona compagnia ……
Spiccò il volo, compì un largo giro, andò leggero leggero a posarsi su quel davanzale; entrò circospetto, attraverso il vetro rotto, dentro la stanza e non vide nessuno, era vuota.
Venne subito attratto e rimase affascinato, dalle mille cose che là dentro rilucevano: specchi, mattonelle colorate, bianche ceramiche, pizzi e trine, barattoli, tubetti, bottigliette e vasetti d’ogni tinta .
Che regno! Il regno del colore ! e lui invece ….così nero, così nero !
Ed ecco la grande idea, che lo avrebbe certamente trasformato in un qualcuno di gradevole, di desiderabile: con il forte becco e gli adunchi artigli cominciò ad aprire tutti quei “cosi” colorati, e si passò sulle penne, alternativamente ad una a una, quei colori: il biondo ed il fulvo per capelli, il blu dell’ombretto, il rosa della cipria, il carminio e l’arancione dei rossetti; poi si lisciò le penne e si rimirò nello specchio.
Si vide e si ammirò, emise un interminabile “ooohhh” di meraviglia e di soddisfazione, e scoprì di essere diventato un “kakatoa”, uno di quei bellissimi variopinti pappagalli che rallegrano le foreste amazzoniche .
In quella entrò nella stanza la ragazza, che forse voleva truccarsi, ed anch’ella fece un “ooohhh” di ammirato stupore . “Un pappagallo! Un pappagallo in casa mia!!” e iridato di tutti quei bei colori, dal giallo al violetto, con qualche scorcio di nero e senza lo sgradevole gracchiare che emetteva quel corvaccio nero cacciato via poco fa. Allungò lentamente la mano verso quell’esotico uccello, che andò a posarvisi delicatamente, ad accovacciarsi poi nell’incavo tra la spalla e il collo, come forse aveva visto talvolta in televisione, da fuori la finestra, fare ai pappagalli dei pirati; si sentiva completamente a proprio agio, come fosse a casa sua, tra i tappeti multicolori e le spalliere delle sedie.
Ora non gli mancava che cantare, che parlare, comunicare con la sua neo - padroncina, ma certo non con quel suo brutto cra-cra; ci pensò proprio la padroncina, a poco a poco, a insegnargli qualche parola, qualche suono :
e per prima cosa gli dette un nome e gli insegnò a pronunciarlo: Kakatoa ! Ormai Cra-Cra, diventato Kakatoa, non aveva più la preoccupazione di procacciarsi di che mangiare, era sempre riccamente provvisto di semini attraenti e di mangimi succulenti che la ragazza traeva da pacchetti e scatoline, anch’essi colorati .
Tutto bello, tutto perfetto, tutto gradevole, salvo che per
la catenina che lo teneva legato al trespolo.

giovedì 2 luglio 2009

DOLCE RICORDO


Ogni tanto dall’oceano della memoria sale a galla, si dondola sulle onde, affiora il ricordo di un cane, un cane strano, che avevo incontrato da giovane nei boschi delle Alte Madonìe.
Era un cirneco dell’Etna, un bellissimo esemplare, l’inconfondibile corpo slanciato, le lunghe zampe pronte alla corsa ed al salto, le orecchie dritte protese in avanti a captare ogni suono, ogni rumore, il manto raso color terracotta: si chiamava Rock.
Era compagno inseparabile e fedele di un cacciatore, con il quale viveva quasi in simbiosi e da bravo cacciatore anche lui si era sempre comportato, stanando tra i tronchi, gli arbusti e le rocce, gli animali del bosco, per poi riportare al padrone le prede cacciate.
Me lo ricordo soprattutto perché un giorno di quel tempo lontano aveva compiuto una azione contraria alla sua natura di cane, e per di più di cane da caccia, riaccompagnando delicatamente alla sua tana, tra gli sterpi del sottobosco, un leprotto ferito da una fucilata.
Per quel suo gesto lo avevo accarezzato, e lui aveva tenuto la testa sotto la mia mano, mi aveva leccato le dita, guardandomi con una luce amorevole negli occhi.
Da allora le nostre strade si sono separate: le sue vie lo conducevano dalla cascina al bosco, dal bosco al paese, alla fontana e di nuovo alla cascina; le mie percorrevano, talvolta freneticamente, il mondo lontano, tra mari, cieli, città e palazzi: nulla che assomigliasse al paese della mia giovinezza, che aveva sempre conservato un posto in un angolo della mia mente, del mio cuore.
Vi ritornai, dopo molti anni; non più sulla sgangherata bicicletta di allora ma su una lussuosa potente automobile; attraversai la piazza del paese, che era come la ricordavo, sempre la stessa, gli stessi alberi, forse un pò più alti, più fronzuti, dominata dalla facciata della chiesa parrocchiale, piena della cascata degli scampanii.
Mi diressi verso il bosco, del quale riconoscevo i colori ed i profumi, mi fermai davanti all’antico, e amico, casolare, spinsi il pesante cancello di ferro arrugginito sotto l’arco di pietra ed entrai.
Un cane mi si avvicinò, malfermo sulle zampe spelacchiate, le orecchie volte in basso, la coda penzoloni; ma gli occhi, lo sguardo, mi dicevano qualcosa, e così come Argo dopo venti anni riconobbe Ulisse così egli mi riconobbe ed io riconobbi lui, ROCK, il cirneco cacciatore.
Il suo regno non era più nello sconfinato bosco, ma ormai ristretto nei limiti dell’aia; il suo trono stava sugli scalini che salivano alla fontanella, suo araldo era il gallo dall’ orgogliosa cresta fiammeggiante e frotte di pulcini sciamavano tra le sue zampe pigolando chiassosamente.
Da un cassettino della memoria venne riproiettato sullo schermo della mia mente il gesto un tempo compiuto da quel cane, un inconsueto atto di gratuito amore, e nella sua testa certamente si accese il ricordo della mia carezza di allora.
Mi si strofinò contro le gambe, un leggero guaito, uno sguardo di dolcezza inesprimibile, scodinzolando, scodinzolando...ma la coda si agitava sempre più lentamente…sinché si fermò.

venerdì 26 giugno 2009

Basta confondersi col capitalismo...


Recentemente, ho avuto modo di discutere con amici su temi quali capitalismo e liberismo. Mi sono accorto, anche in funzione di quest’ultimo riscontro, che esiste ancora molta confusione su questi due importanti concetti. Affermare che si trattino della medesima cosa è come voler sostenere che tra monarchia e democrazia non vi è alcuna sostanziale differenza. Il capitalismo pone il denaro al centro del cuore di ogni regola. Il liberismo, invece, mette il commercio in tale posizione. Un capitalista non ricerca la competizione, la nega, la sovrasta, la uccide. In parole povere, si potrebbe dire, che gli piace vincere facile e il suo obiettivo è quello di mantenere uno status quo in cui operano delle vere e proprie caste. Inutile sottolinearlo, la sua è l'unica che non può fare avvicendamenti. Non ama i vincoli e le Leggi ma se ne rifugia allo scopo di condannare ogni forma di resistenza al sistema. Con la scusa dell’ordine, della disciplina, della riforma e della normativa, ricerca una posizione di netto vantaggio nei confronti dei suoi avversari perché non gli basta vincere. Gli altri devono perdere. Tutti. Un liberista comprende che la meritocrazia migliora le prestazioni ed il prodotto finale è l'emblema di questo spirito competitivo. Considerando il commercio al di sopra del profitto pensa che il mercato, a suo modo di vedere, sia l'unica cosa è in grado di garantirgli uno status quo di successo. Il suo segreto sta tutto qui. Il profitto sembra detestare il caos ma va a braccetto con l'entropia, il commercio, invece, ama la libera iniziativa e cammina fianco a fianco con l'evoluzione.

mercoledì 24 giugno 2009

Un regalo...per LEI.


LEI
Era il giorno del suo compleanno e LUI non riusciva ancora a trovare qualcosa di importante da regalarle per farle capire quanto tenesse alla sua persona. Che cosa si può donare a qualcuno che ha già tutto? Soleva ripetere. E più ci pensava più sembrava che la soluzione al suo dilemma se la svignasse, allontanandosi affannosamente da LUI. Scorrevano i minuti, le ore. Il rintocco della mezzanotte si avvicinava inesorabile. LUI stava correndo il rischio di farsi trovare da LEI con le mani e le tasche vuote. Che cosa poteva trovare che gli occhi di LEI non avessero ancora contemplato o le sue mani già amorevolmente accarezzato? Camminò su e giù per le stanze di quella casa che mai come quel giorno gli era sembrata più fosca e inadeguata. I suoi passi erano stati così tanti e intensi che quasi crearono dei solchi sul pavimento. Era il segno che l’autocommiserazione e la rabbia erano forti. Per caso, soprappensiero, il suo sguardo andò a posarsi sopra una finestrella della casa che, distrattamente, aveva lasciata aperta. Non appena avrò risolto questo problema la chiuderò. Pensò.
E mentre stava meditando sul da farsi i suoi occhi furono attirati da una cosa di cui si era dimenticato e che si trovava proprio li, fuori della finestra. Smise di camminare. Si fermò. Si avvicinò alla piccola finestrella di mogano e guardò fuori, nel buio della notte. La Luna luminosa e rotonda si stagliava alta nel cielo. Che stupido che sono stato, disse urlando. Se solo avesse provato prima a pensare lucidamente, senza farsi prendere dall'affanno, avrebbe già capito che la soluzione si trovava proprio li, davanti ai suoi occhi. La Luna. Ma certo. Nessuno le aveva ancora fatto un regalo così. Decise che avrebbe preso la Luna e gliela avrebbe donata quella sera stessa. Scese per le scale fin giù in garage. Aprì la porta basculante, accese la luce elettrica, diede una rapida occhiata e nel disordine con cui accumulava oggetti di varia natura ed utilità vide ciò che stava cercando. Afferrò una grossa e lunga corda e fece ritorno con spirito fiero e trionfante nel suo appartamento. Uscì sul balcone, fece un grosso cappio e lanciò il lasso più in alto che poté. Afferrò la Luna al primo tentativo ed incominciò a tirare. Tirò più forte che poteva, aggrappandosi alla ringhiera del balcone. La sua eccitazione fu incontenibile quando la vide spostarsi verso di LUI. La luminosa palla dei cieli notturni sembrava aver capitolato e, seppur lentamente, si avvicinava a quel balcone. Soltanto per un po'. Poi, nonostante che LUI raddoppiasse gli sforzi sentì che la Luna faceva nuovamente resistenza ed addirittura si opponeva ai suoi propositi, andando in un’altra direzione.
Lo sconforto si stava impadronendo di LUI. Le forze cominciarono a venir meno e nella stanchezza che stava vincendo ogni sua velleità provò a lanciare uno sguardo verso la luce della Luna e solo in quel momento si accorse di un fatto tanto strano quanto singolare. Un altro lasso era stato lanciato in direzione della Luna e qualche sconosciuto stava cercando di tirarla Luna verso di sé. S’infuriò e legò la fune al davanzale della ringhiera di ferro. Quindi, vi salì sopra e in piedi, in condizione di precario equilibrio, cercò di tirare ancora la Luna dalla sua parte. Lo sconosciuto sembrò fare altrettanto. LUI osservò meglio la palla luminosa alta nel cielo buio della notte e vide che altri lassos venivano lanciati da ogni direzione, unendosi nell’afferrare e tirare il "suo" regalo di compleanno. Smettete, vi prego. Disse. Non vedete che sto cercando di regalare la Luna ad una persona che ha già tutto? Come fate a non capire? Urlò con quanto fiato aveva in gola. Dall'altra parte udì urla e strepiti simili ai suoi. Tirò verso di sé la Luna fino a quando non cadde in terra, semisvenuto. Restò così per una decina di minuti, dolorante, folle di rabbia, impotente, sfinito per la fatica. Quasi in lacrime, vide la Luna ancora alta nel cielo esattamente dove era sempre stata. LUI non era riuscito a prenderla ma nemmeno gli altri sconosciuti avevano raggiunto quell'ambizioso obiettivo. Non si sentiva affatto felice per questo pensiero. Sapere che anche altri avevano desistito non lo aiutava certo a risolvere il suo problema. Si trovava ancora punto e a capo.
Che cosa poteva trovare a quell'ora della notte di così grande che LEI non aveva ancora avuto in dono da nessuno? Si sentiva uno stupido. Un fallito. Voleva urlare il suo dolore ma i polmoni ed il costato, provati dalla fatica precedente, non sembravano in grado di assicurargli questa possibilità. Si rialzò in piedi. Montò sopra il corrimano della ringhiera di ferro del balcone. Guardò in basso. Pensò che bastava un attimo. Avrebbe dovuto solamente lasciarsi andare e sarebbe finito tutto. Il destino degli sconfitti era sempre stato quello. Ai vincitori gli altari, ai perdenti la polvere. Socchiuse un poco gli occhi e pensò. E' solo un attimo. Questione di qualche secondo e poi tutto finirà.
Per caso, mentre pensava a queste parole, il suo sguardo incrociò una stella cometa. Trattenne il fiato e fece per buttarsi quando realizzò. Un momento, pensò. C'è ancora qualcosa che posso regalarle. Una stella. Ma certo. Quello sarebbe stato senz'altro un regalo che avrebbe potuto apprezzare. Senza pensarci un istante di più, flettendo i quadricipiti quasi fino allo spasimo, si lanciò verso l'alto ed afferrò la stella cometa. La prese per la coda e, per nulla scossa dal peso del nuovo arrivato, il corpo celeste lo trasportò lungo tutto il suo percorso. LUI si sentì felice. Aveva finalmente trovato un regalo che poteva essere degno agli occhi di LEI. Eppure, c’era ancora qualcosa che sembrava non andare per il verso giusto. LUI aveva afferrato la cometa ma era il corpo celeste che lo stava portando via dalla Terra. Lontano da LEI. Smetti di allontanarti. Disse fremente di paura e schiumante di rabbia. Devi andare dall'altra parte. Aggiunse. Ma la Cometa continuò la sua corsa, allontanandosi dal pianeta e da LEI. LUI comprese che avrebbe dovuto mollare la presa o sarebbe stato portato lontano da casa. Lontano da LEI. Non poteva permettere tutto ciò. Mollò la presa. Lasciò che le sue mani scivolassero lungo la coda della Cometa. Ricadde verso la Terra. Atterrò sul letto di un lago. Un tonfo sordo si udì nella notte buia. Uno scrosciare di acqua risuonò tra le pareti rocciose, culla di quel lago. LUI ritornò a galla e nuotò mestamente verso la riva. Sfinito si distese sull’erba e guardando il cielo trapunto di stelle non smise di pensare. Ho fallito di nuovo. Sono bagnato fradicio. Le mie membra sono stanche ed il mio spirito sfiduciato. Non ho ancora trovato il regalo per il suo compleanno.
Che cosa poteva portare quel povero sventurato al cospetto di LEI? Cosa? Si maledì cento, mille volte. Ed ancora cento e mille volte. E continuò a torturarsi con ferocia mentre i rintocchi della mezzanotte si facevano sempre più vicini. Occorreva una magia. Un miracolo. Qualcosa di più prezioso di tutto l'oro del mondo. Di più importante della Luna e di più bello di una stella Cometa. Ma cosa c'era sulla Terra che potesse valere così tanto, si domandò. Si rialzò e sommessamente ritornò verso casa. Passò vicino alla casa di LEI e per la vergogna non osò alzare lo sguardo. Aveva fallito clamorosamente. Ancora una volta. LEI sarebbe stata delusa. Non lo avrebbe più voluto vedere. Una creatura così bella non avrebbe potuto sopportare la vicinanza di un simile sciocco perdente. LUI affrettò il passo, quasi a voler fuggire dal suo destino. Ma sapeva che non vi era distanza sufficiente per nascondere la sua inettitudine. Aveva mancato. Nel giorno più importante. Mentre stava per salire le scale per far ritorno a casa propria e nascondersi sotto le coperte, quasi fosse un bambino, il suo sguardo incrociò una vetrata e si fermò. Rifletté alcuni istanti. Qual è il regalo più grande del mondo? Quale cosa non ha prezzo o eguali? La Luna? Non è unica nel cosmo e invero non è nemmeno il più bello tra gli astri del cielo. E nemmeno la Cometa può dirsi ineguagliabile e di inestimabile valore. Si. Aveva finalmente trovato ciò che cercava. Che stupido che era stato. Si ricompose e ripercorse a ritroso i suoi passi. Alzò fieramente la testa. Il suo sguardo si fece più vivo ed intenso. Allo scoccare della mezzanotte si presentò da LEI e le fece dono della cosa più preziosa e vera che possedeva. Più bello della Luna. Più intenso di una stella. LEI lo guardò mentre LUI sorrideva e capì. Uno sguardo d'intesa e le disse. E' il più bel regalo che tu potessi farmi. Il suo sorriso era proprio ciò che le mancava. Una caratteristica che nessuno, tranne LUI, sapeva donarle con così intensa emozione. E fu il compleanno più bello della loro vita.
FINE