lunedì 16 giugno 2014

Pane, amore e fantasia


Si discute sui continui sbarchi di clandestini in Italia e si criticano sia i costi dell'operazione “mare nostrum” che la sua efficacia. In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dal Premier Letta, aveva deciso di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia autorizzando l'operazione «Mare nostrum», una missione militare ed umanitaria la cui finalità era ed è quella di prestare soccorso ai clandestini prima che possano ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo. L'Europa assiste immobile e sorda ai continui sbarchi e liquida il problema come se fosse tutto italico e non di rilevanza per tutti gli Stati dell'Unione. Insomma, pretende che noi si disinneschi o si faccia brillare questa mina vagante e, ovviamente, lo si faccia senza troppo clamore e soprattutto con mezzi propri. Tutte le pieghe di questa operazione ci permette di riflettere sul concetto di razzismo e su quello dell'immigrazione. Il Dalai Lama, recentemente, ha affermato che “se si chiamano rifugiati vuol dire che fuggono da qualcosa ma il buon cuore per accoglierli non basta e bisogna avere il coraggio di dire quando sono troppi e di intervenire nei loro Paesi per costruire lì una società migliore”. E' così impossibile o improponibile? Analizziamo la costa africana dalla quale partono gommoni o traghetti della speranza. I Paesi dai quali salpano questi barconi sono sostanzialmente 2: la Tunisia e la Libia. Nella striscia costiera questi Stati vantano coltivazioni di olive, arance e datteri e la loro porzione di mare è ancora ricca di pesce. Non costerebbe meno cercare di fare accordi commerciali coinvolgendo le nostre imprese per garantirsi un settore produttivo satellite (come fece il Giappone con Hong-Kong, Singapore, Taiwan) e un possibile mercato futuro? Perché preferiamo sempre usare l'esercito e vivere nella costante emergenza anziché usare veramente la diplomazia ed il mercato in chiave positiva e di unione tra i popoli? Anche perché italiano, a mio parere, è chi ama questa terra e lavora, costruisce, guadagna e risparmia entro i patrii confini. Indipendentemente da quale sia la sua origine etnico-geografica. Lo scandalo del MOSE ci aiuta a capire. Una persona che porta i propri soldi (lecitamente o illecitamente) nei Paradisi fiscali mi viene difficile pensare che sia un “italiano vero”. Stessa cosa è pensabile per chi lavora in Italia allo scopo di ritornare al proprio Paese d'origine con i soldi guadagnati. In questo caso, il progetto di crescita di lavoro e ricchezza delle coste libiche e tunisine potrebbe essere più interessante che non quello individuale che sta cercando di realizzare in terre che non intende riconosce come sue. Il problema degli sbarchi sulle nostre coste si può risolvere con un po' di pane, amore e fantasia. Qualcuno ci ascolterà?

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