venerdì 23 ottobre 2009

Il fallimento dei più furbi


Il fallimento dei più furbi
A livello politico ha destato scalpore la sentenza della Corte Costituzionale di in merito al lodo “Alfano”. Esponenti di spicco della maggioranza di Governo hanno affermato che esiste un deficit di Giustizia “giusta” nel nostro Paese e che occorre una profonda e radicale modifica delle Leggi e normative vigenti in materia. Sono d’accordo. In PARTE. Innanzitutto, nella scala delle priorità, il nostro Paese ha bisogno di lavoro, oggi più che in passato. Per poter dare nuove prospettive in tal senso, è vero, si deve metter mano anche al nostro ordinamento giudiziario. Ad esempio, favorendo la certezza del diritto sul credito. Oggi tale parola fa venire in mente la Banca ed ogni attività ad essa collegata. Esiste, tuttavia, un aspetto di fondamentale importanza per la vita stessa di ogni economia. In Italia, più che in ogni altro Stato dell’Unione, la speranza di un creditore di vedersi corrisposto il proprio credito dal debitore per via legale o compromissoria è molto flebile. Occorre rivedere, a mio avviso, l’intera normativa riguardante il fallimento. La crisi economica che attanaglia, senza esclusione, tutte le nazioni del mondo è partita da una crisi del credito. L’abbondante uso della procedura fallimentare ha così punito sia le aziende sane che quelle che non lo erano. Lo stesso meccanismo del mercato che prevede continui scambi tra i suoi soggetti ha avuto un effetto devastante sull’economia. Chi ha avuto la sfortuna di trovarsi come cliente una ditta che è fallita ha perso del denaro e molte volte questa serie impressionante di passività formatesi in poco tempo ha travolto le aziende senza distinzione. L’attuale Governo, pochi anni orsono, ha modificato le normative sul fallimento facilitando il reingresso di un fallito nel ciclo produttivo. Oggi, più che mai, chiudere un’impresa e gettare sul lastrico dipendenti e fornitori è più facile. Allo stesso modo, non ci sono più i vincoli del passato per riaprire l’azienda, con qualche ritocco, il giorno seguente. Io credo, invece, che occorra rivedere la procedura fallimentare e che sia di fondamentale importanza porre un serio paletto a questo strumento facendo si, ad esempio, che il debito non si estingua con la cessazione dell’attività ma ricada sulla parentela dei titolari o dei soci. Che cosa c’entra la Giustizia, allora? Beh, è ovvio che non è concepibile che una causa per risarcimento possa durare anni. Oltre a garantire la certezza della pena occorre accelerare i tempi per giungere ad una sentenza. E su questo, Giudici ed Avvocati, possono recitare un ruolo di primo piano su una seria riforma del settore.

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